Il silenzio assordante con cui è stata accolta dai partiti di governo l’idea lanciata da Salvini di un comitato per la salvezza nazionale non deve sorprendere: è troppo occupata a litigare al proprio interno la maggioranza che sorregge il governo Conte per perdere tempo a replicare al capo leghista. Salvataggio della Banca Popolare di Bari, definizione della manovra, ex Ilva, riforma della prescrizione sono i fronti più caldi, ma l’elenco dei motivi di attrito potrebbe essere assai più corposo.
Salvini sembra aver voluto battere il ferro finché è caldo: dopo il passaggio di tre senatori pentastellati al Carroccio ha voluto incunearsi fra le forze della coalizione avversaria, nella speranza di allargarne le contraddizioni. Operazione non riuscita, almeno per ora, ma nessuno immaginava che fosse facile, o immediato. Il sasso è lanciato, e i cerchi nell’acqua potrebbero allargarsi pian piano, specie dopo che questa singolare sessione di bilancio verrà archiviata.
È nel mese di gennaio, infatti, che Salvini dovrà tentare il tutto per tutto per far precipitare la situazione verso le urne. E allora verrà tutto utile, dal comitato di salvezza nazionale alle porte aperte a nuovi transfughi dalle fila grilline. Non inganni l’impressione che l’ex ministro dell’Interno abbia fatto un passo indietro rispetto alla richiesta di elezioni subito. La sua è una proposta tesa a dimostrare senso di responsabilità e insieme preoccupazione per un quadro economico sempre più pesante e più immobile. Alle questioni aperte già elencate si aggiungano Alitalia, Whirpool, fondo salva-Stati (Mes) e autonomia differenziata: il quadro è di un governo immobile, incapace di comporre le visioni divergenti delle proprie componenti.
Ecco allora il forcing leghista: pronti a un governo di salute pubblica, ma a tempo, lo stretto necessario per pochi provvedimenti e poi andare al voto, con la speranza che l’appello salviniano al senso di responsabilità possa trovare apprezzamento anche presso un Quirinale sempre più preoccupato dell’ignavia di Conte e dei suoi ministri.
Sarebbero poche le priorità del governo di emergenza che Salvini ha prospettato. Fra esse la legge elettorale, con un’apertura sul sistema spagnolo di proporzionale con collegi piccoli. Una proposta intermedia, che nasce dalla convinzione di essere in grado di vincere con qualsiasi sistema. Rilevante anche l’apertura del numero due leghista, Giancarlo Giorgetti, all’ipotesi che possa essere Mario Draghi a guidare questo gabinetto di salute pubblica: tutti, ma non Conte. Tutto pur di sbloccare una situazione di stallo che potrebbe durare a lungo, con una maggioranza debolissima, che tira a campare nella speranza che il fenomeno Salvini si logori e cominci a sgonfiarsi.
Che il terreno cominci davvero a mancare sotto i piedi ai partiti di governo viene manifestato anche dal diffondersi delle voci di un anticipo a inizio anno di molte delle nomine negli enti pubblici in scadenza più avanti, in primavera. Non si dimentichi come questo ingente pacchetto di poltrone pesanti era stato da molti additato come uno dei più sostanziosi motivi che avevano portato alla nascita del governo giallorosso.
In ogni caso, da gennaio si aprirà una fase delicatissima, in cui peseranno molti fattori, dalla litigiosità dei governo giallorosso agli appuntamenti istituzionali, le regionali in Emilia e in Calabria e le decisioni intorno ai referendum sul taglio dei parlamentari e sul sistema elettorale. Ci vuol poco perché l’attuale precario equilibrio venga spezzato. Potrebbe accadere per una vittoria del centrodestra in Emilia, oppure perché la fuga dai 5 Stelle assume le proporzioni di un esodo, anche se la transumanza verso la Lega potrebbe essere compensata da pattuglie di nuovi “responsabili” in uscita dalle file berlusconiane (non meno disarticolate di quelle grilline) in direzione di Renzi e comunque dell’area di Governo: se ne parla quotidianamente in Transatlantico.
L’unica certezza che si ha è l’impossibilità che l’immobilismo continui: o il governo saprà mettere a punto un programma condiviso, o avrà i giorni contati; un’agonia di cui il paese non ha affatto bisogno.