Negli ultimi giorni Matteo Salvini si è messo a discutere di una faccenda che aveva sempre schifato. Si tratta della legge elettorale. Dopo avere sbeffeggiato tutti coloro che ne parlavano come fossero professionisti dell’arrampicata sugli specchi, ora il leader leghista non perde un comizio per tornare sull’argomento. Addirittura vorrebbe proporre un referendum sul quale cerca l’appoggio di Silvio Berlusconi, ma il Cavaliere da quell’orecchio non ci sente. Ma come? Fino a poche settimane fa la legge elettorale era una questione da addetti ai lavori lontani dal popolo, da azzeccagarbugli intellettuali che vogliono distrarre gli italiani dai problemi reali come gli immigrati e quota 100, e ora il Capitano non si fa sfuggire nessuna occasione per esibirsi sul tema?



La legge elettorale è una questione molto tecnica quanto decisiva per gli assetti parlamentari. I destini di molti politici oggi sono legati al meccanismo del prossimo voto. I piccoli preferiscono il proporzionale per non sparire: pensiamo al neonato partito di Matteo Renzi che con il maggioritario sparirebbe. Infatti l’ex premier ripete in questi giorni che lui è sempre stato favorevole al maggioritario, ma oggi siamo in tempi di proporzionale e quindi si adegua. Silvio Berlusconi resta invece saldamente ancorato al maggioritario, perché non punta a correre da solo ma a ricomporre il centrodestra e farsi trainare da Salvini, come lui a suo tempo tirò Bossi, Fini, Casini e compagnia.



Nicola Zingaretti era favorevole a votare subito, quindi gli andava bene l’attuale sistema proporzionale corretto con un 25% di maggioritario. Ma oggi che deve fronteggiare lo scisma renziano preferirebbe puntare sul maggioritario per togliere di mezzo l’ex compagno di partito. Per il momento il Pd è costretto a prendere tempo: ecco perché Zingaretti e Graziano Delrio hanno schiacciato il pedale del freno davanti alle sollecitazioni dei 5 Stelle ad accelerare sulla riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari e costringe così a riscrivere la legge elettorale. E per il maggioritario preme anche Salvini, che restando sopra il 30% farebbe incetta di collegi uninominali anche senza ingombranti alleati con cui dividere le poltrone.



Tra Lega e Pd, nonostante le pesanti schermaglie verbali, di fatto si forma dunque un asse d’interessi. Era già successo agli inizi di agosto, quando entrambi i partiti spingevano per andare al voto subito. Si è detto che l’azzardo di Salvini di provocare la crisi fosse fondato proprio su una tacita convergenza con Zingaretti, saltata però per l’uscita a sorpresa di Renzi. Certamente non si tratta di accordi, l’esistenza dei quali verrebbe negata da ognuno dei contraenti. Tuttavia, in tempi di tatticismi può verificarsi qualche coincidenza di interessi. Zingaretti ha Renzi, Salvini ha Berlusconi: con un’inversione a U verso il maggioritario, favorita dal calo dei consensi grillini, si potrebbe ripristinare il vecchio bipolarismo. Un bel ritorno al passato.

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