L’idea che la nomina di Mara Carfagna e Giovanni Toti a coordinatori di Forza Italia sia per il Cavaliere la mossa della disperazione è assai diffusa. Soprattutto in quegli ambienti – giornaloni compresi – in cui fino a qualche giorno fa si dava per certa la nascita della terza gamba del centrodestra: il partito del presidente della Liguria, accreditandolo persino di un buon 7% dei consensi.



Tutto evaporato in un istante ed unità del partito salva. Altro che disperazione!

Ma da buon imprenditore (anche politico), dietro la mossa di Silvio Berlusconi sembra nascondersi più di un piano “B”: “uscite di sicurezza” per un partito in crisi di “ruolo” sia nel centrodestra, in cui ormai sembra essere relegato al terzo posto (talvolta da incomodo), sia nell’intero panorama politico nazionale, dove da anni il Cavaliere non riesce più a dettare l’agenda politica.



Ma allora perché la scelta è ricaduta proprio su Toti e Carfagna? Su due coordinatori politicamente tanto distanti e con visioni sul futuro del partito così diverse?

Semplicemente perché servono a due finalità distinte: l’uno interna, l’altra esterna. Ed insieme allo scopo primario – e già incassato dall’ex premier – di sopire ogni fibrillazione e mantenere unito il partito.

I ruoli sembrano chiari: Toti, il filo-leghista azzurro, nei piani di Arcore è deputato a curare il Nord, a riprendersi i molti fuggiaschi verso il Carroccio e divenire l’interlocutore di quell’Italia produttiva delusa dal Governo e dalla Lega. Insomma, ad indossare, in tutto e per tutto, gli abiti dell’anti-Salvini.



Il Sud, invece, sarà curato da Mara Carfagna, non contro ma bensì a sostegno delle posizioni di Gianfranco Miccichè che dalla Sicilia ha proposto – con successo – un progetto politico di dialogo e buona collaborazione tra i moderati. Ovvero tra Forza Italia, i centristi storici ed i riformisti del Pd: i cosiddetti renziani, tanto per non fare i nomi.

Quindi Toti e Carfagna, grazie anche alla forte credibilità dimostrata sul campo, più che due coordinatori dovranno essere due conquistatori: l’ariete da sfondamento lui, la tessitrice “bianca” lei.

Una strategia finalizzata a riconquistare più potere all’interno della coalizione senza, peraltro, compromettere la possibilità – sopratutto a livello locale e regionale – di procedere ad accordi con frange del Pd sul modello Gela.

Ma se il progetto politico unitario del Cavaliere dovesse rivelarsi troppo ambizioso e non produrre i risultati sperati, il fatto di aver costituito all’interno di Forza Italia due “nuclei aggregatori” distinti politicamente, diversi funzionalmente e separati geograficamente potrebbe consentire a Berlusconi una terza carta. Quella della scissione concordata di Forza Italia in due partiti con la possibilità di giocare (e forse essere persino determinante) su più tavoli.

Se c’era una soluzione per un partito in picchiata di consensi, senza ruolo né proposta politica come Forza Italia, questa sembra essere stata colta. Il tempo saprà giudicare, ma guai a sottovalutare il Cav.

In fondo in Italia per contare davvero non è mai servita la maggioranza, ma bensì una discreta minoranza (Craxi, Fini, Salvini docent).