Basteranno ancora alcune ore o più verosimilmente alcuni giorni e poi in questa pazza pazza crisi di mezza estate tutto apparirà più chiaro.

Eppure, qualcosa di certo sembra essere già percepibile: l’agognato ritorno alle urne si allontana sempre più è molto dipenderà dalle parole che il presidente del Consiglio riserverà alla Camera alta del Parlamento.



Sì, perché la sorte di ogni ipotesi messa in campo dalla politica in questi ultimi giorni: conferma della fiducia a Conte, sfiducia al Governo in carica, consultazioni del Quirinale e nuovo incarico a Conte (Conte bis), governo Pd-M5s, governo di legislatura (con Pd, M5s, FI, autonomisti e centristi), governo dei tecnici (con incarico a Cottarelli), o scioglimento delle Camere con indizione di nuove elezioni, dipenderà imprescindibilmente dal tenore – e non solo dal contenuto – del discorso che il presidente Conte pronuncerà nell’aula del Senato ad una nazione assai smarrita dopo la mossa, alquanto avventurosa, del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini.



Il premier sa che tutto dipenderà da lui e per questo nelle ultime ore i contatti con il Colle più alto sono stati frenetici. La situazione – questa la raccomandazione – impone chiarezza, fermezza, ma anche e soprattutto prudenza, capacità di mediazione e pazienza.

Di tutto ciò Conte è ampiamente consapevole, per questo non si farà prendere la mano. E, contrariamente a quanto previsto da molti, prima di salire al Quirinale e riferire al capo dello Stato, ascolterà in attento silenzio tutto il dibattito. Certo, il capo del Governo non tarderà a puntare il dito contro i responsabili di una crisi/non crisi, contro il modo istituzionalmente assai sconveniente di togliere la fiducia e contro l’incredibile decisione – primo casi in sessant’anni di repubblica – di mantenere nello stesso esecutivo sfiduciato la pattuglia dei ministri.



Una serie di destri capaci di stordire anche il migliore degli incassatori, come il leader leghista ha dimostrato di essere. Ma sarà a questo punto, con l’avversario al tappeto, che il premier, da galantuomo politico, non assesterà il colpo del KO, bensì lascerà la porta aperta: sia ad un possibile ripensamento, sia – qualora la marcia indietro non arrivasse – ad una soluzione istituzionale di legislatura.

E la chiave sarà una soltanto: un nuovo programma di legislatura che Conte presenterà (al termine della sua comunicazione) al Parlamento e sul quale chiederà un confronto pubblico e trasparente di fronte alla nazione.

Un modo per mettere con le spalle al muro un indebolito Matteo Salvini ma anche, sul fronte opposto, le varie anime del Pd e la stessa FI.

Sarà la nuova agenda che Giuseppe Conte presenterà al Senato il vero banco di prova per tutti: per il leader leghista, che non può permettersi un nuovo drammatico sbaglio politico, per non rischiare di perdere – in un amen – poltrona e partito, ma anche per gli stessi grillini, che non potranno sbilanciarsi molto (né in favore della Lega, né in favore del Pd) per non rischiare di mandare in fumo ogni possibilità di governo ed aprire la strada a elezioni per loro infauste.

Chissà che due debolezze, alla fine, non facciano la fortuna del primo travagliatissimo governo Conte.