Per i capigruppo di maggioranza alla Camera l’appuntamento è per oggi pomeriggio, mercoledì. A capotavola il ministro delle Riforme, il pentastellato Federico D’Incà. Obiettivo, un primo giro d’orizzonti intorno al tema della legge elettorale, anche per tener fede all’impegno preso a settembre di definire entro Natale un’intesa di massima intorno alla riforma della legge elettorale in senso proporzionale.



Con una mossa a sorpresa ha di fatto reclamato un posto a quel tavolo la Lega. E la discussione non potrà che partire da lì, dalla risposta da dare al numero due del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, che con 48 ore di anticipo sulla riunione di maggioranza ha sparigliato le carte con la proposta di un tavolo per cambiare insieme le regole del gioco.



L’idea di Giorgetti ha un senso politico raffinato. Rappresenta una sorta di altolà da parte del Carroccio alla velleità della traballante coalizione che sostiene il governo Conte di riscrivere da sola la legge fondamentale che regola il gioco politico, quella elettorale, appunto. Un altolà che riguarda soprattutto l’idea di tornare al proporzionale puro, senza alcun correttivo in direzione della governabilità. “Se la struttura costituzionale rimane quella di adesso e si torna al sistema proporzionale – ha ammonito Giorgetti – questo paese è spacciato”. Necessari meccanismi che diano a chi vince la possibilità di governare e di decidere.



Il vicesegretario leghista tratta da una posizione di forza: con i sondaggi che cominciano a segnalare il centrodestra al di sopra del 50% non esiste alcuna legge elettorale che può negare la maggioranza assoluta in Parlamento. E allora l’invito a sedersi al tavolo per trattare sulle riforme diventa un monito a non procedere a colpi di mano con i numeri attuali. Facile prevedere che la Lega trasformerebbe in un Vietnam il percorso di una riforma della legge elettorale giudicata apertamente ostile.

Di fronte gli uomini del Carroccio vedono una coalizione di governo tutt’altro che compatta. Il più lesto ad aprire alla proposta di Giorgetti è stato Matteo Renzi. Ha parlato di idea saggia e intelligente. E dal Pd gli fa eco il capogruppo al Senato Marcucci, renziano non fuoriuscito, per cui sarebbe un’ottima cosa approvare una nuova legge elettorale con il concorso anche della Lega.

A mostrare freddezza e sospetto sono invece i 5 Stelle. Per il deputato Francesco Forciniti bisogna temere l’ennesima fregatura se Giorgetti e Renzi “si svegliano all’unisono”. Il timore è di un baricentro esageratamente spostato verso il governo e a danno del parlamento. Qualunque ipotesi di premio di maggioranza o di governabilità è visto come il fumo negli occhi, anche perché serpeggia il timore che sia molto improbabile nel futuro che i grillini di quel premio possano godere, visto il loro costante declino nelle elezioni e nei sondaggi.

Gelido con Giorgetti anche il ministro per le Riforme D’Incà, per il quale il paese chiede stabilità, attraverso la continuità d’azione del governo in carica. Di avere la Lega al tavolo dove si discute la nuova legge elettorale non sembra avere alcuna voglia.

In queste condizioni, con il convitato di pietra leghista seduto al tavolo, la discussione nella maggioranza sembra destinata a arenarsi presto, nonostante le voci che vengono da Liberi e Uguali, che premono per un ritorno al proporzionale per contenere gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari. Il dilemma è serio, ma è ben presente nella testa di Zingaretti: si può con un ritorno al proporzionale puro condannare il paese all’ingovernabilità?

In tutte le leggi il diavolo può annidarsi nei dettagli, nei codicilli. Questo è ancora più vero per le leggi elettorali, dove basta una virgola per cambiare tutto. Con la presenza/assenza della Lega al tavolo della trattativa la discussione all’interno della maggioranza sembra davvero tutta in salita.