Ci sono due diversi piani di lettura nella svolta annunciata da Nicola Zingaretti, quello tattico e quello strategico. Il primo è fin troppo chiaro: non attendere l’esito dell’ordalia emiliana del 26 gennaio, e dare segnali di forza e di capacità propositiva a quella fascia di elettorato che guarda con scetticismo al Pd, e magari si è allontanato da tempo. E in questa chiave si tratta dell’estrema mossa di campagna elettorale per vincere una sfida regionale sempre più caricata di valore politico nazionale. I più maliziosi potrebbero vederci anche un gesto disperato per ribaltare l’esito di una contesa che appare sempre più incerta. La riprova che una doppia sconfitta per i candidati democratici sarebbe durissima da digerire per il governo. Un cazzotto alla bocca dello stomaco per un governo che non smette di arrancare.



Fermarsi a questo sarebbe però sbagliato e ingeneroso rispetto al governatore laziale. Nel suo rompere gli indugi c’è di più. C’è la volontà di cercare di prendersi quel partito che sinora non si è dimostrato suo, zeppo com’è nel gruppo dirigente di ex renziani, o di renziani dormienti. Zingaretti mostra quindi di accelerare indipendentemente dal risultato in Emilia (delle due è la vera sfida che conta) e dare al Pd la propria impronta. Logico che ad apprezzare l’annuncio della rifondazione siano gli “irregolari” dell’area democratica, come il sindaco di Milano, Beppe Sala, oppure l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio, arrivato da pochi mesi dall’area della sinistra, e la sinistra stessa, con esponenti significativi come Federico Fornaro.



Non sorprende poi che a mostrare freddezza siano i renziani, da quelli in Italia viva come Maria Elena Boschi, che non possono non temere un Pd più aperto e inclusivo, sino a quelli dormienti dentro il corpaccione democratico, come Anna Ascani, secondo cui sciogliere il partito sarebbe un errore.

Naturale chiedersi come il nuovo corso zingarettiano possa influire sulla tenuta del governo e sulla durata della legislatura, che si regge su equilibri estremamente fragili. Nelle intenzioni del segretario del Pd non c’è la volontà di accelerare la marcia di avvicinamento al voto, anche se ad agosto la tentazione era questa. Allora l’obiettivo era di poter esprimere gruppi parlamentari depurati dai renziani. Oggi anche il governatore laziale si è convertito al tentativo di resistere il più a lungo possibile, anche per far eleggere il successore di Mattarella da questo Parlamento. Ma la volontà chiara è di farlo da una posizione di forza.



Dal punto di vista di Palazzo Chigi il rilancio di Zingaretti potrebbe avere due letture antitetiche. Vi si potrebbe scorgere la volontà di impossessarsi per davvero del Pd come passaggio verso quelle elezioni che ad agosto sono state a un passo. Possibile, ma poco probabile. Al contrario, se davvero la nuova fase in casa dem si aprirà, avrà bisogno di tempo per consolidarsi. Un voto anticipato la stroncherebbe sul nascere, visto che il congresso dem non si terrà prima di giugno. Ecco perché per Conte l’intervista di Zingaretti a Repubblica è sostanzialmente una buona notizia, anche se rimane il pungolo a non crogiolarsi nell’immobilismo e a entrare nel vivo della verifica di governo prima del voto in Emilia e Calabria.

Chi probabilmente ha più da preoccuparsi è Luigi Di Maio. Se Giuseppe Conte ha dovuto archiviare ogni velleità di fare un proprio partito per timore di terremotare il fragile equilibro della sua maggioranza, Di Maio ha una leadership da salvare. Dal suo punto di vista l’apertura di Zingaretti alla società civile rappresenta un’invasione di campo e insieme una Opa non amichevole sugli elettori delusi dalle vane promesse grilline. Difficile allontanare la tentazione di vedere nel nuovo Pd il tentativo di porsi come partito guida di un nuovo centrosinistra che sta avviluppando il M5s (o quel che ne rimane) come le spire di un serpente boa. Il rischio di finire lentamente stritolati (leggi: annessi) è concreto. Servirebbe una capacità di rilancio almeno pari a quella che Zingaretti sta tentando di mettere in campo. Ma dalle parti del Movimento questa capacità non sembra davvero essere all’orizzonte.

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