Il dibattere su quanto il fenomeno delle Sardine sia manovrato o spontaneo, sia linfa vitale o ulteriore fattore di odio è destinato a non concludersi rapidamente anche perché ogni tesi vanta qualche riscontro.
Quel che conta sono però i risultati già conseguiti. Il primo riguarda il leader della Lega, che è il bersaglio e persino la ragion d’essere della nascita del movimento. È indubbio che Matteo Salvini si stia dando una “calmata”. L’ex ministro dell’Interno – pur avendo ragioni sulla correità di Conte e Di Maio per la nave Gregoretti – comincia a rendersi conto di aver esagerato nel giocare la carta dell’“uomo forte”: ha provocato un’ondata di rigetto capace di risuscitare avversari che considerava ormai sconfitti. Sta quindi moderando i toni candidando Mario Draghi ora al Quirinale ora a Palazzo Chigi e proponendo accordi di unità nazionale.
Ma il più importante risultato delle Sardine – nate appunto a Bologna in vista del voto delle regionali di fine gennaio – è quello di aver creato uno “scivolo” che sembra funzionare per trasferire l’elettorato del M5s (almeno in parte) a favore di Bonaccini nonostante il rifiuto di accordo e la presentazione di un candidato alternativo da parte della piattaforma Rousseau.
Ma proprio per questo successo, le Sardine – in quanto pericolo per il M5s di erosione elettorale da parte del Pd – possono anche incrementare tensione e instabilità nel governo dove infatti si ripetono prove di forza e conflitti tra i due principali alleati di governo.
Zingaretti intima “alto là” al capo politico dei 5 Stelle e da Palazzo Chigi il premier cerca di imbrigliare Di Maio (e Renzi) annunciando una “verifica” a gennaio per ”rilancio” e “ripartenza”.
In verità la criticità di fondo del governo deriva dal fatto che è finora fallito, nonostante l’appoggio iniziale di Grillo, l’attacco di Conte a Di Maio per strappargli la leadership del movimento e trasformare l’accordo di governo in stabile alleanza politico-elettorale tra Pd e M5s.
Il “capo politico”, nonostante sconfitte e immaturità, ha retto l’assalto ed è ancora in sella deciso a contrastare le ambizioni di Conte. Nel M5s crescono quindi divisione e confusione (con Grillo che nella contesa ha perso qualche penna del suo carisma) e tra gli alleati rapporti personali e politici si sono ovviamente incrinati. Che il governo navighi a vista è evidenziato dalla disordinata gestione della manovra economica, dove ogni partito ha cercato di piantare “bandierine” nel segno di provvedimenti assistenziali senza alcun serio impegno né per lo sviluppo né per il risanamento rompendo la “luna di miele” con Bruxelles dove l’Italia è nuovamente sotto accusa per debito pubblico e aiuti di Stato.
Dopo che il Conte 1 era stato travolto dalla sconfitta dei sovranisti alle europee (con Di Maio che vota la von der Leyen e Salvini che chiede l’ingresso nel Ppe), il Conte 2 era nato per dar vita a un nuovo scenario politico con “la romanizzazione dei barbari”, la trasformazione del M5s in un partito di sinistra. L’operazione non solo non è andata in porto, ma si assiste per certi aspetti al fenomeno inverso, all’“imbarbarimento dei romani”: nel Pd è cessata ogni polemica su “antipolitica”, si parla di pericolo del “populismo di destra” e si comincia ad accettare un “populismo di sinistra”. Da parte sua Di Maio si è “salvinizzato” facendo del Mes la polemica centrale sulla manovra economica mentre Renzi punta a sostituire o comunque a indebolire Conte che ormai nel governo è sostenuto solo dal Pd.
La speranza che il M5s diventasse “sinistra di governo” è contraddetta quotidianamente dai ministri di Di Maio, che vedono come unica soluzione per le crisi aziendali l’intervento statale ed anche per le aziende pubbliche aprono la strada della “decrescita felice” annunciando per l’Eni “una riconversione totale di tutti gli asset produttivi” con “una moratoria di tutte le ricerche di fonti fossili” affinché “non continui nelle esplorazioni”: altra uscita di scena dalla competitività internazionale.
In un panorama in cui crisi aziendali e dossier internazionali rimangono per aria, il governo Conte e l’alleanza di governo non sembrano allo stesso Pd una “carta” da giocare nel confronto elettorale. Meglio spostare l’attenzione, alzare i toni, puntare sull’antifascismo, presentare lo scontro elettorale non tra centro-destra e alleanza di governo, ma come apocalittica alternativa tra Civiltà o Barbarie: “Annibale alle porte”, “No pasaran”, “Bella Ciao”.
Da parte sua il premier Conte continua a dichiarare di essere insostituibile e che il governo è stabile perché tutti i partiti della maggioranza hanno paura delle elezioni anticipate. Si vedrà presto, tra “verifica” e voto regionale in gennaio, se la paura sia sufficiente per andare avanti.