Da una parte il Governatore della Banca d’Italia; dall’altra, chiuso a palazzo Chigi, il presidente del Consiglio; in mezzo – seduto nel salone di via Nazionale insieme agli altri 39 invitati – Mario Draghi con occhiali e mascherina intento a sottolineare l’intervento di Ignazio Visco anche se molto probabilmente ne conosceva già i contenuti sostanziali (come Governatore onorario, ha un ufficio in via Nazionale). Questo triangolo è destinato a segnare i prossimi mesi, quelli della cosiddetta ripartenza.
Visco non si è limitato a lanciare un allarme, delineando il rischio che il prodotto lordo cada del 13% secondo lo scenario peggiore descritto dall’ufficio studi della banca centrale, ma ha messo nero su bianco un programma di governo e non solo: “Serve un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo ‘contratto sociale’, ma anche in questa prospettiva serve procedere a un confronto ordinato e dar vita a un dialogo costruttivo”.
Se fossimo in Francia avrebbe il respiro di un “patto per la nazione”. Su quali basi? Occorre “una rottura rispetto all’esperienza storica più recente”, perché “per riportare la dinamica del prodotto intorno all’1,5 per cento (il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale) servirà un incremento medio della produttività del lavoro di poco meno di un punto percentuale all’anno. Questo obiettivo richiede un forte aumento dell’accumulazione di capitale, fisico e immateriale, e una crescita dell’efficienza produttiva non dissimile da quella osservata negli altri principali paesi europei”.
A queste condizioni è possibile anche tenere sotto controllo il debito che salirà al 156% con un disavanzo del 10,4%. La via, dunque, non è l’austerità, ma l’accumulazione di capitale, gestendo in modo rigoroso il bilancio pubblico, mantenendo un avanzo primario (cioè al netto della spesa per interessi) all’1,5% annuo. Un percorso arduo perché “lo sorso anno il rapporto tra investimenti e Pil era ancora inferiore di tre punti percentuali rispetto ai livelli del 2007; quest’anno scenderà ancora inferiore ai livelli del 2007 e quest’anno scenderà ancora”.
Per questo bisogna usare bene le risorse che non sono poche: lasciamo stare gli stanziamenti europei, vedremo quanti e quando, e comunque “non potranno essere gratuiti”, ma le misure decise dal Governo ammontano a 75 miliardi di euro, pari al 4,5% del Pil, un esborso secondo solo a quello della Germania. Visco ha elencato l’esigenza di migliorare i servizi pubblici, colmare il ritardo nelle infrastrutture (“la rete fissa a banda larga ultraveloce copre meno di un quarto delle famiglie, contro il 60 per cento della media europea”), investire nella conoscenza (lo Stato spende nelle università 8 miliardi, la metà di quanto fanno i Paesi più vicini), puntare sulle nuove tecnologie e qui entra in campo anche la responsabilità delle imprese (le spese private in ricerca e sviluppo sono nettamente inferiori a quelle dei nostri concorrenti), stimolare gli investimenti valorizzando Industria 4.0 e l’aiuto alla crescita. In fondo alla lista, ma certo non per importanza c’è il chiodo sul quale Visco batte ormai da anni: “Un profondo ripensamento della struttura della tassazione, che tenga anche conto del rinnovamento del sistema di protezione sociale, deve porsi l’obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi” riducendo la pressione fiscale “troppo elevata per chi rispetta le regole”.
Il Governatore ha ricordato che l’Italia ha una grande riserva alla quale attingere. “La ricchezza netta, reale e finanziaria, delle famiglie italiane è elevata: 8,1 volte il reddito disponibile contro 7,3 nella media dell’area dell’euro”. Non solo, il debito delle famiglie e delle imprese è di circa 50 punti di Pil inferiore alla media dell’area euro. Evitando controproducenti patrimoniali o prestiti forzosi, occorre trovare gli strumenti per convogliare questa ricchezza verso gli investimenti e la crescita.
“È il mio programma”, ha commentato Conte. Davvero? Non sembra proprio. Il Governo si è mosso spendendo in deficit per sostenere la liquidità di famiglie e imprese, poi per sostenere i redditi delle più diverse categorie con la politica dei bonus, cioè benefici una tantum più o meno temporanei. Ma non ha fatto ancora nulla per aumentare gli investimenti e ridurre le imposte che sono, invece, secondo Visco, i due pilastri fondamentali della politica economica. Si può dire che distribuire soldi a pioggia era inevitabile nella prima fase, quando bisognava tamponare il primo choc, ma per il rilancio serve la ricetta di Bankitalia. Conte la fa sua? Vedremo. Fatto sta che nessuno all’interno del Governo, tranne Roberto Gualtieri, ha speso una parola a sostegno delle indicazioni di Visco. Silenzio dai cinquestelle che da sempre ce l’hanno con via Nazionale. Quanto a Matteo Salvini in via Nazionale ricordano che voleva “mettere in galera Visco” (era la sua campagna del 2016).
Un nuovo contratto sociale ha bisogno di un vasto consenso, dunque, o di un Governo nato da una maggioranza ampia e coesa o di una grande coalizione. Nel primo caso ci vogliono elezioni dalle quali emerga un chiaro vincitore, nel secondo caso occorre un patto tra le principali forze politiche che coinvolga anche l’opposizione. A nessuna delle due tipologie risponde il Governo giallo-rosso. Così, aleggia l’ombra di Draghi e di un gabinetto di salute pubblica che faccia proprie le indicazioni di Visco e abbia la forza e l’autorevolezza di realizzare le riforme necessarie. Se ne parla da tempo ed è riemerso tra palazzo Koch e il Quirinale che sono a un tiro di schioppo. Secondo la maggior parte degli osservatori, Draghi sarebbe in realtà il candidato più accreditato per la presidenza della Repubblica, ma il 2022 è lontano e la crisi brucia tempi e strategie.