La tregua è stata sancita nel faccia a faccia di venerdì scorso fra Letta e Salvini: la fase è troppo delicata perché a qualcuno convenga mettere sotto pressione il governo Draghi dall’interno. E se lo dicono i due principali leader che sostengono l’esecutivo, anche gli altri devono adeguarsi.
I prossimi venti giorni saranno decisivi. Con tre fronti a intrecciarsi, e tutti i partiti che rischiano di giocarsi la faccia se qualcosa andrà storto. Il primo fronte è la campagna vaccinale, dove l’obiettivo del mezzo milione di iniezioni al giorno non è affatto facile da raggiungere, e soprattutto da mantenere, in assenza di un regolare afflusso di vaccini da somministrare. Speranza, Figliuolo e lo stesso Draghi rischiano la faccia, se non sapranno garantire i rifornimenti e l’organizzazione per distribuirli.
Non a caso stanno cercando di imporre scelte drastiche nella scala delle priorità, stoppando tutti gli under 60 e concentrandosi su anziani e deboli, anche per ridurre il numero ancora troppo alto di decessi. Le regioni sono avvertite: le maglie dell’ultima ordinanza del generale commissario si sono strette, ma non troppo. In presenza di ulteriori furbate, scatterebbe un giro di vite. Il comportamento della Puglia, che apre indiscriminatamente a tutti gli over 60 che si presenteranno, buttando nel cestino il meccanismo delle prenotazioni, è già sotto osservazione.
Secondo fronte caldo di questo momento è quello delle riaperture, con la piazza che comincia a premere sul governo. Draghi è stato chiaro: il miglior ristoro sarebbe costituito dalla possibilità di riavviare commercio, intrattenimento, turismo. Ma bisogna agire con cautela, basarsi su dati certi. E, guarda caso, persino Salvini si è fatto più guardingo e ripete come un mantra che fra lui e il premier c’è identità di vedute, e che si comincerà a riaprire non appena sarà possibile.
Non c’è ancora un calendario, ma in settimana potrebbe tornarsi a riunire la cabina di regia per verificare se qualcosa possa essere anticipato agli ultimi giorni di aprile, magari i ristoranti a pranzo dove il contagio arretra e le vaccinazioni avanzano. Almeno per dare un segnale, mentre in parlamento si varerà l’ennesimo scostamento di bilancio, onde consentire quel vigoroso “decreto imprese” su cui si sono trovati a parlare la stessa lingua il leader leghista e il segretario del Pd.
Mercoledì è attesa la trasmissione al Parlamento del Documento di economia e finanza, il Def, comprensivo delle indicazioni sullo scostamento di bilancio fra i 30 e i 40 miliardi. Il voto è programmato per il 22 aprile. Ma si tratta solo dell’antipasto della madre di tutte le partite, il Recovery Plan. È la missione per cui il governo Draghi è nato, vietato fallire. La scadenza inderogabile è quella del 30 aprile, entro cui il Piano nazionale di ripresa e resilienza andrà spedito a Bruxelles. Sotto l’occhio vigile del Quirinale, che non ammette sbandamenti, la corsa contro il tempo è iniziata, e gli uffici governativi (soprattutto Palazzo Chigi e via XX Settembre) lavorano giorno e notte a riscrivere dalle fondamenta ciò che Conte e i suoi fedelissimi avevano partorito. Un documento considerato, a Roma come a Bruxelles, carente e lacunoso.
Per quanto le cifre in ballo siano imponenti, sono necessarie scelte drastiche, per puntare su progetti che corrispondano agli obiettivi imposti dal Piano Next Generation Eu, in primis transizione ecologica in campo energetico e spinta alla digitalizzazione. Servono progetti concreti, cantierabili in poco tempo e serve poi mettere in piedi strutture in grado di seguirli e rendicontarli. È una sfida titanica, e nessuno se lo nasconde. Il braccio di ferro fra le differenti sensibilità si preannuncia serrato, ma si giocherà più nei confronti riservati che non con polemiche pubbliche. In gioco c’è l’Italia di oggi, ma anche quella di domani, a 5 o 10 anni.
Quindi, all’interno della variegata coalizione che ha scelto di sostenere Draghi la parola d’ordine è quella di mettere la sordina alle polemiche, almeno sino alla presentazione del Recovery Plan, attesa alle Camere per il 26 e il 27 aprile. Solo dopo quel passaggio i partiti avranno gli elementi per valutare se sostenere Draghi sia stato o no una buona scelta.
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