È la rivincita di Gianni Letta, è il ritorno del Silvio Berlusconi in versione dialogante e responsabile, quella che più piace alla stanza dei bottoni (dalla quale il Cavaliere è da tempo escluso) ed è più invisa all’elettorato del centrodestra. Il Berlusconi di governo, pure stando all’opposizione, è quello che contribuì a fare eleggere Carlo Azeglio Ciampi e rieleggere Giorgio Napolitano, che entrò nel Ppe e accettò con enormi sofferenze di farsi da parte a favore di Mario Monti. Il Cavaliere da combattimento, invece, tolse il sostegno a Enrico Letta e votò scheda bianca per Sergio Mattarella e il primo Napolitano.



Le scelte altalenanti non sono una novità per il leader di Forza Italia: un tira e molla segnato nel tempo anche dal cambio dei collaboratori più stretti. Ora è di nuovo il momento dei “pontieri” come Gianni Letta. D’altra parte è da mesi che si assiste a un lento ma inesorabile avvicinamento del partito azzurro verso una maggioranza giallorossa friabile come una roccia di tufo. Berlusconi è ormai a un passo, incoraggiato e ripulito dalle scorie del passato giudiziario. L’interrogativo è duplice: come mai questa volta il Cav si presti al gioco del Pd che punta a rompere il fronte del centrodestra, e se davvero la maggioranza avrà un giovamento dalla stampella azzurra.



Difficile che Berlusconi si illuda di potere davvero salire al Quirinale dopo Mattarella. Al momento sembra accontentarsi di trovare alleati nella difesa dell’“italianità” di Mediaset. Ma c’è un’altra scacchiera sulla quale la mossa dell’ex premier potrebbe avere molto peso: è la partita della legge elettorale. È una questione che solo all’apparenza riguarda unicamente gli addetti alle architetture istituzionali. Ed è una trattativa che si svolge sottotraccia, proprio perché non ha l’appeal per conquistare qualche titolo sui giornali: qui fanno colpo le ambizioni quirinalizie, le faccende aziendali, il ritorno del conflitto d’interessi, o all’opposto il voltafaccia di chi per decenni ha trattato Berlusconi a pesci in faccia e ora gli srotola i tappeti rossi sotto i piedi.



La legge elettorale è sul tavolo da mesi. Addirittura per Nicola Zingaretti il dossier doveva essere chiuso prima del referendum confermativo per la riduzione del numero dei parlamentari. Se ne parlò per qualche settimana, poi la questione tornò nel cassetto. Ma prima o poi arriverà il momento di tirare le somme, perché le nuove Camere hanno bisogno di un nuovo sistema elettorale. Ed è qui la chiave dell’avvicinamento berlusconiano a Pd e M5s. La scelta del maggioritario andrebbe a compattare il centrodestra, ma rinchiuderebbe Forza Italia nel ruolo del comprimario di Matteo Salvini. Al contrario, il proporzionale consentirebbe a Berlusconi di rimanere al centro dei giochi, trasformandosi nell’ago della bilancia della futura legislatura.

È un gioco indubbiamente rischioso. Probabilmente il maggioritario porterebbe più seggi a Forza Italia se restasse agganciata al carro salviniano, ma la piccola pattuglia di parlamentari azzurri conquistati con il proporzionale costringerebbe chiunque a venire a patti con il Cav, sia il Pd sia la Lega. E l’attuale maggioranza giallorossa è senz’altro più favorevole al proporzionale: né il Pd né tantomeno i grillini hanno interesse a un sistema maggioritario teso a compattare maggioranze prima del voto. È dunque questo lo scivoloso terreno su cui si muove Berlusconi, per difendere sé stesso e ciò che resta del suo partito, e costringere Salvini a scendere a patti.

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