Gli interrogativi sulla durata del Governo di coalizione 5 Stelle-Pd-Italia viva-Leu continuano ad affollarsi e si possono raggruppare in due serie, non statistiche, di argomentazioni che così possono essere sintetizzate.
La prima: il Governo durerà sino alle nomine delle principali imprese o dei principali enti partecipati in varia guisa dallo Stato e quindi sottoposti all’immarcescibile e incancellabile “Manuale Cencelli” d’indimenticata e indimenticabile memoria (essendo pressoché impossibile elaborare un altro sistema di allocazione delle risorse del plusvalore politico nelle poliarchie parlamentari, quali che siano i gradienti di meritocrazia e di istituzionalizzazione dall’avida e vogliosa società civile che muove all’assalto dei partiti e che i partiti blandiscono per attingere alle risorse di sostentamento).
Una duplice variante accompagna codesta serie interpretativa (sennò che serie sarebbe?). La prima: di più! Il Governo durerà sino alla nomina del Presidente della Repubblica e non per rieleggere l’attuale Presidente in carica, bensì per incoronare Presidente colui che incarna il sostegno esterno duplice che tutto regola dell’italica vita economica e politica: Romano Prodi, il quale lo si giudica in grado di essere a capo del complesso di interessi esterni franco-cinesi (e quindi con forte assenso vaticano nonché del mondo bancario-lombardo come si conviene nel “mondo di sopra” che collega nazione e internazionalizzazione).
Ed ecco la seconda variante della prima serie: il Governo attualmente in carica durerà perché quali che siano le deviazioni compiute in merito all’interesse prevalente nazionale – che kissingerianamente esiste checché si continui a disconoscerlo -, che è sempre quello di riaffermare il legame con gli Usa, ebbene saranno gli Usa medesimi a imporlo, questo interesse prevalente, impedendo con tutti i mezzi di farlo cadere, questo Governo. Esso non può cadere perché, per sgangherato e filocinese e filofrancese che sia, è la sola carta che rimane alla presenza Nato nel Mediterraneo, dinanzi allo sprofondare di Ilva, Popolare di Bari e soprattutto della presenza italiana in Libia, dove Turchia e Russia fingono di scontrarsi per poi spartirsi con la Francia l’antico regno dei Senussi, così portando quel mondo a un inedito stadio storico pre-Accordo Sykes-Picot, frammentando in forma esplosiva uno degli insediamenti nazional-tribali più strategici di tutta l’Africa (con l’Algeria che tiene in caldo un incendio e il Sahel che a malapena contiene una nuova rivolta del Mali senza che ci sia più il colonnello Gordon a Khartum). Après moi le déluge, dice il presidente Conte e così la partita è chiusa, almeno per questa serie interpretativa.
Vediamo l’altra serie, la seconda. Essa non ha varianti e – nonostante la stragrande maggioranza dei suoi sostenitori non ne sia consapevole – si fonda su una realtà ontologica che è pericolosamente divenuta senso comune. Ossia quel senso comune che fa dire che si tratta di una banda di dilettanti, di sbandati, di irresponsabili, di ignoranti e molto altro e di più ancora. Conseguenza? Chiarissima: il Governo può cadere da un momento all’altro per un nonnulla. Per esempio, le dimissioni di un ministro o una serie di arresti compiuti da una magistratura che non si capisce mai se (i sostenitori di questa variante pensano che sia) eterodiretta oppure impazzita in una guerra per bande e via strafalcionando oppure più seriamente discorrendo.
La base cognitiva spesso nascosta di questa serie interpretativa certo risiede in un connotato strutturale del rapporto tra macchina dei partiti e società politica. Questo rapporto certo esiste e molto spesso la società politica (a differenza del passato quando quest’ultima era il liquido amniotico da cui scaturivano storicamente i partiti rank and file) crea essa stessa, per esigenze di contrasto, nuove società politiche dall’alto (com’è il caso delle cosiddette sardine prodian-vatican-governative in funzione anti-Lega e Salvini), ma in tal modo non si sostituisce certo il sacrosanto fondativo “rapporto territoriale” che era ed è la sola storica forza che può dare stabilità alla macchina dei partiti.
Di qui la stessa angosciosa paura che si diffonde tra i portatori degli interessi internazionali protesi al dominio delle italiche risorse. Troppo impegnarsi con esse, per esse, in esse vuol dire farsi invadere dalla stessa instabilità che come una serie di scosse telluriche a sciame sismico tutto invade a iniziare da uno Stato decerebrato dal liberismo e dall’ordoliberismo.
Insomma, ci vorrebbe la penna e il cervello di un Gaetano Mosca, di un Vilfredo Pareto, di un Ortega y Gasset, di un Joaquin Costa. Ma chi sono costoro?, ci si chiede nei corridoi di Montecitorio, di Palazzo Madama…