La notizia è stata lanciata da Bloomberg: funzionari del ministero delle Imprese e del Made in Italy avrebbero avuto un incontro a Taiwan per discutere di una collaborazione più stretta con il Paese dell’Indo-Pacifico sul tema dei microchip. Un accordo che andrebbe, secondo Bloomberg, di pari passo con lo sganciamento dell’Italia dall’intesa sulla Via della Seta con la Cina Popolare.
Un incontro non ufficiale che, come spiega Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation, s’inserisce in un contesto che potrebbe portare Taiwan ad aprire una seconda rappresentanza commerciale in Italia, a Milano dopo quella di Roma, e forse a realizzare sul nostro territorio una fabbrica di microchip.
Generale, come va interpretata la visita dei funzionari italiani?
Si sarebbe trattato di una visita non ufficiale, probabilmente tenuta in questa modalità per non “indispettire” la Cina Popolare, che in questo momento sta conducendo una campagna di coercizione della libertà della vicina e democratica Repubblica di Cina-Taiwan minacciando un’aggressione militare. Sono tristemente note le minacciose manovre delle forze armate di Pechino delle ultime settimane dopo l’incontro negli Usa della presidente taiwanese Tsai con lo speaker della Camera Usa Kevin McCarthy. La visita dei funzionari italiani, non confermata ma, al momento, neanche smentita dal Governo italiano, indica un rinnovato interesse dell’Italia a sempre migliori relazioni con la Repubblica di Cina-Taiwan.
A livello informale però si sarebbe parlato di microchip, di una maggiore collaborazione per quanto riguarda produzione ed export. Che cosa bolle in pentola?
In una recente intervista il rappresentante diplomatico di Taiwan in Italia ha confermato che c’è un sempre vivo interesse a sviluppare buoni rapporti con il nostro Paese, tanto è vero che Taipei aprirebbe una seconda rappresentanza commerciale a Milano oltre a quella già presente a Roma.
Milano significa industria e questo porta ai microchip dei quali Taiwan è il più grande produttore: una conferma che i contatti del ministero delle Imprese riguardano i semiconduttori?
Esatto. Taiwan è il principale produttore di microchip mondiale per quantità e qualità e quindi l’interesse ad aprire questa seconda rappresentanza economica e culturale è centrale perché l’Italia, come tutti i Paesi industrializzati, ha la necessità di avere un approvvigionamento sicuro e costante di microchip per sostenere e sviluppare il suo sistema industriale.
Quest’accordo significherebbe contemporaneamente una presa di distanza dalla Belt and Road Initiative, la Via della Seta, il programma infrastrutturale globale con la Cina Popolare?
Continuo a esprimere forti perplessità su quell’iniziativa. Il fatto che l’Italia sia l’unica nazione del G7 che ha firmato accordi sulla Via della Seta ho dei seri dubbi che sia stata una mossa azzeccata, perché metterebbe l’Italia in una posizione di sudditanza rispetto alla Cina Popolare. Non vedo immediati vantaggi dal punto di vista industriale ed economico se non per Pechino. In fondo si è trattato di una manovra politica forse avventata.
L’accordo con Taiwan, invece, sarebbe vantaggioso?
La possibilità di ridurre l’impegno sulla Via della Seta favorirebbe l’Italia nel senso di una priorità nell’acquisto dei microchip provenienti da Taiwan. È logico che grazie ai buoni rapporti con Taiwan l’industria italiana avrebbe almeno vantaggi nelle priorità sull’import di microchip rispetto ad altri Paesi che mantengono ottimi rapporti con la Cina Popolare e accettano le pressioni volte a evitare rapporti con l’industria taiwanese.
In questo momento storico non si possono intrattenere buoni rapporti con entrambi gli interlocutori?
Tenere buoni rapporti con entrambi è una prova di equilibrismo ben difficile, dato il comportamento aggressivo della Cina Popolare con Taiwan. Pechino ritiene l’isola una sua provincia, una tesi che non è suffragata dalla storia. Pechino sta facendo di tutto sia con il suo soft power sia con l’hard power per ridurre la visibilità diplomatica e le potenzialità industriali di Taiwan.
Questo potrebbe significare un deterioramento dei rapporti tra Italia e Cina Popolare?
Potrebbe certamente creare dei problemi. Bisogna vedere qual è la cosa migliore per il nostro Paese. Sicuramente sarà un problema se la Cina Popolare continuerà con un atteggiamento di chiusura con chi ha relazioni diplomatiche e industriali con Taiwan. Escludendo, se si vuole, quelle diplomatiche, quelle industriali devono rimanere per il bene dell’industria nazionale.
Anche perché la stessa Cina Popolare ha relazioni industriali con Taiwan, come può chiedere agli altri di non averne?
Ci sono fabbriche taiwanesi di microchip in Cina Popolare. L’Italia potrebbe essere una delle potenziali sedi dove progettare una fabbrica di microchip in Europa con proprietà e supervisione taiwanese, l’importante è che non trovino troppi ostacoli, soprattutto burocratici, per la sua realizzazione. Sarebbe un enorme vantaggio per il nostro Paese, ma si dovrebbero concordare gli standard di lavoro, altrimenti non se ne farebbe nulla.
Le aziende taiwanesi di microchip, d’altra parte, hanno già realizzato fabbriche all’estero. In quali Paesi finora?
Le hanno sicuramente negli Usa, nella Silicon Valley, ma anche nella stessa Cina Popolare, dove Taiwan comunque mantiene il controllo industriale e commerciale sulle aziende. Nella Cina Popolare sono prodotti semiconduttori che non possono essere impiegati da Pechino in armamenti: c’è un veto americano.
Quanto alla Via della Seta allora cosa si può pensare che farà l’Italia?
Bella domanda! A mio parere, ridurre il livello di sudditanza dalla Cina Popolare che poteva nascere dal continuare a seguire l’accordo. Sono decisioni politiche.
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