Questa mattina, mentre il bis-premier Giuseppe Conte leggerà alla Camera il suo secondo discorso di insediamento, in piazza Montecitorio Fratelli d’Italia e la Lega manifesteranno contro l’occupazione del potere e il “poltronismo” della nuova maggioranza. Venti giorni fa Matteo Salvini aveva rimproverato Conte di non essersi accorto prima della sua pericolosità. Ora bisognerebbe chiedere a lui come mai si è reso conto soltanto adesso che i 5 Stelle sono attaccati al potere. Salvini sembra non avere ancora assorbito lo shock innescato dalla mossa sciagurata di aprire una crisi al buio. Da un mese non fa che ripetere un solo ritornello: che M5s e Pd sono attaccati alla poltrona, che sono ribaltonisti, che lui lavorerà come un matto per vincere. E i conti si cominceranno a fare a fine ottobre al primo appuntamento elettorale, le regionali in Umbria, dove il Pd rischia parecchio in quanto negli ultimi mesi la giunta rossa è stata scossa da scandali. Naturalmente, tutto ciò è stato detto “con un sorriso” e inviando il solito bacione agli avversari.
Ma il primo avversario di Salvini è lui stesso. Argomenti poveri e ripetitivi, strategia di piazza scontata e probabilmente sterile: sono segni di debolezza, indicano che uno scatto ancora non c’è stato. E soprattutto che il leader leghista, impugnando la piazza come unica arma di lotta politica, non intende abbandonare la linea dell’isolamento. Un piccolo episodio appare significativo. Dopo avere disertato (come Giorgia Meloni) le mini-consultazioni svolte da Conte dopo avere ricevuto l’incarico da Mattarella, Salvini ha compiuto un secondo sgarbo istituzionale: ha evitato la cerimonia del passaggio di consegne al Viminale con il prefetto Lamorgese. Doppia buca. Diversamente da lui, l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti si è fatto fotografare con il sorriso – lui sì – mentre consegna la campanella al suo successore, Riccardo Fraccaro.
Due sorrisi, due Leghe? Appena Salvini annunciò che avrebbe staccato la spina al governo, Giorgetti si era smarcato dicendo che certe decisioni può prenderle soltanto il capo, e un capo decide sempre in solitudine. Dopo le europee, Giorgetti era stato il più insistente nel suggerire a Salvini di sfilarsi subito dal governo. L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio è uomo con i piedi ben piantati nei territori del Nord Italia, l’ufficiale di collegamento con il mondo produttivo sull’asse Torino-Trieste, e interpretando il malumore di quelle Regioni voleva chiudere subito l’esperienza gialloverde. Dopo il clamoroso passo falso salviniano, un’altra voce radicata al Nord ha ripreso a farsi sentire: è quella di Roberto Maroni. Anche lui critico con la mossa del leader che gli elettori del centrodestra (e non solo) continuano a non capire.
Ma Salvini persiste nel chiudere le porte a un dibattito interno. Preferisce andare in piazza al rimorchio della Meloni, la vera promotrice della manifestazione odierna, non troppo contenta di un segretario leghista che cerca di intestarsi il sit-in. La Lega che rincorre Fratelli d’Italia è uno spettacolo inedito: per 14 mesi sembrava che Salvini fosse sempre in anticipo su tutti nel dettare i temi del dibattito e della polemica, ora invece è lui a dover inseguire. L’ex ministro sceglie ancora la linea oltranzista, isolazionista, tutta lotta e niente governo e soprattutto niente diplomazia. Opposizione dura e pura, senza se e senza ma. Ieri Silvio Berlusconi al suo Giornale ha detto che Forza Italia non offrirà nessun tipo di spalla al nuovo governo: un modo per provare a ricucire il centrodestra. Ma almeno per il momento le profferte sono state accolte da un’indifferente alzata di spalle.