Da giorni Giorgia Meloni sta lavorando alla messa a punto della squadra di ministri, ma per il nascituro Esecutivo la strada appare già in salita. Da dopo le elezioni del 25 settembre, infatti, il Governo Draghi si sta preparando al passaggio di consegne senza perdere occasione per rendere manifesti i risultati conseguiti e il buono stato della “cosa pubblica” lasciata in eredità.



La presidente di Fratelli d’Italia ha provato a mettere le mani avanti sull’attuazione del Pnrr, ma le sue accuse sono state rispedite al mittente dall’attuale premier in persona. Altamente improbabile, poi, fare meglio sul fronte del Pil (ancora con il segno più persino nella prospettiva del 2023) e dei conti pubblici (dove l’esecutivo di centrodestra riceverà in eredità persino un “tesoretto”). E che dire poi degli stoccaggi di gas che hanno superato il 90% di riempimento, ponendo il nostro Paese tra i più virtuosi d’Europa?



In realtà, qualcosa da dire ci sarebbe. Per raggiungere questo obiettivo, infatti, come raccontato da un giornalista ben informato come Federico Fubini sul Corriere della Sera del 4 agosto, “senza che sia stato detto troppo esplicitamente, da cinque settimane è in corso un massiccio intervento dello Stato per l’acquisto di gas sulle piattaforme internazionali a qualunque costo. Anche se i prezzi sostenuti sono tali che gli operatori di mercato non se ne sarebbero fatti carico”. Un intervento nato “da un’operazione varata un po’ in sordina alla fine di giugno. A prendere l’iniziativa con il premier Mario Draghi furono due ministri del Governo ormai dimissionario, Roberto Cingolani per il settore energia e il ministro dell’Economia Daniele Franco. Tecnicamente tutto nasce con un prestito di quattro miliardi di euro del Tesoro a una sua controllata, il Gestore dei Servizi Energetici (Gse); in quanto tale, il prestito dunque non incide (per ora) sui saldi di finanza pubblica. Al Gse è stato conferito il ruolo di ‘riempitore di ultima istanza’ delle riserve di gas utilizzando proprio quei quattro miliardi di euro”. In sostanza, aggiunge Fubini, “al Gse il Governo ha chiesto di comprare gas sulle piattaforme internazionali a qualunque prezzo”.



Tuttavia, come si legge sul sito del Gse, il servizio di riempimento di ultima istanza prevede l’acquisto di gas ai fini dello stoccaggio e la successiva vendita “entro il 31 dicembre 2022”. Anche perché, come si legge nel decreto del Mite, il prestito infruttifero va restituito entro il prossimo 20 dicembre.

Ricapitolando, al Gse è stato dato mandato, tramite un prestito a tasso zero, di acquistare gas per un controvalore fino a 4 miliardi di euro. A leggere Fubini sembrerebbe che tale intervento sia stato effettuato in toto, tanto da permettere di raggiungere, a inizio agosto, il riempimento degli stoccaggi al 74%, ben sopra la media europea. Solo Gse, Mef, Mite e Arera, tuttavia, hanno dati precisi in merito, ma se il gas acquistato e stoccato deve essere venduto entro fine anno ciò vuol dire che – sempre che la vendita non sia già avvenuta – gli stoccaggi sono destinati a certa diminuzione entro il 31 dicembre. Considerando i prezzi medi di luglio, ciò significherebbe che circa 2 miliardi di metri cubi di gas stoccato andrebbero rimessi sul mercato. Si tratta di un quantitativo di poco superiore al 10% degli stoccaggi complessivi.

Ecco dunque che il “primato” virtuoso europeo sugli stoccaggi andrebbe a farsi benedire sotto il nuovo Governo, che dovrebbe a quel punto correre ai ripari varando magari un provvedimento simile a quello di Draghi-Cingolani-Franco, sempre che di gas in pieno inverno se ne trovi quanto a luglio.

Ma non è tutto. Secondo Fubini, se il Gse non riuscirà a vendere il gas “ai valori sui quali l’ha comprato, emergeranno perdite destinate a diventare debito pubblico”. Secondo quanto scritto dal Sole 24 Ore, sempre il 4 agosto, ci sarebbe anche la possibilità “di una copertura in tariffa” “qualora la società non abbia i fondi per restituire quella somma”. Dunque, se la vendita del gas avverrà a prezzi inferiori a quelli di acquisto, la “minusvalenza” verrà coperta dallo Stato (diminuendo il famoso “tesoretto” ereditato dal nuovo Esecutivo) oppure aumentando gli oneri delle bollette, le stesse che si stanno cercando di ridurre.

Certo, come segnala con ottimismo Il Sole 24 Ore, non è “affatto detto che alla fine la risultante sia negativa, potrebbero esserci anche sopravvenienze positive che a quel punto finirebbero nel forziere della Csea (la Cassa per i servizi energetici e ambientali)”, quindi a finanziare le agevolazioni tariffarie. Nel caso potrebbe essere l’unica buona notizia per il Governo Meloni in una vicenda che ne appannerà l’immagine già nelle prime settimane di vita, quelle oltretutto decisive per la Legge di bilancio.

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