Il giorno dopo il sospirone di sollievo Giuseppe Conte mostra i muscoli e tenta di rilanciare il governo. Il premier si appresta alla “fase 2” dell’esecutivo e in tempi record fa approvare la data per il referendum sul taglio dei parlamentari: si andrà alle urne il 29 marzo, prima data utile. Meglio non dare troppo spazio alla propaganda contraria. Se il referendum non passerà, come pare indichino i sondaggi, il governo avrà guadagnato altro tempo per fare approvare la nuova legge elettorale. Conte ieri ha invitato il M5s a “rinforzare questo ampio fronte progressista, riformista, alternativo alle destre”.
In realtà, il cammino che ha davanti Conte non è affatto spianato. La sconfitta di Lucia Borgonzoni e Matteo Salvini allontana le urne ma la batosta ancora più sonora dei 5 Stelle non consolida la maggioranza. Andrea Orlando ha detto che “l’asse del governo cambia” invitando i grillini a rinunciare “al loro armamentario”, intendendo che da adesso chi comanda è il Pd. Peccato che, in base alla Costituzione, chi comanda è il Parlamento dove il M5s rimane il primo partito. Quando parla di “sostegno al nuovo fronte progressista”, Conte mostra di allinearsi alla linea Orlando approfittando del caos in cui naviga il Movimento.
Le parole di Orlando sono più minacciose di quanto appaiano. Il voto in Emilia-Romagna ha infatti confermato la vecchia linea Zingaretti, il quale sarebbe andato alle urne già l’autunno scorso. L’esito delle regionali ha mostrato che la vittoria del centrodestra non è poi così assicurata. Il Pd sembra avere ritrovato una capacità di mobilitazione in direzione anti-salviniana che tornerebbe assai utile anche in un voto politico anticipato. Finora il collante del governo Conte 2 è stata la paura di tornare alle urne per non consegnare il Paese a Salvini. Ora questi timori sono meno granitici e cresce l’aspettativa che il barbaro possa uscirne di nuovo sconfitto. Se Mattarella sciogliesse le Camere e il Pd si presentasse alleato a un M5s depotenziato, non più movimentista ma saldamente ancorato all’area “progressista e riformista” (per usare le parole di Conte), le prospettive di vittoria non sarebbero così lontane.
Il voto mette i grillini di fronte a un bivio: o restare al governo cedendo al Pd il bastone del comando, o correre il rischio di andare a votare e scomparire del tutto. Conte si è immediatamente allineato al Pd. Anche perché in questo modo, se la legislatura dovesse davvero proseguire per altri 2 anni, sarebbe lui il candidato ideale al Quirinale lasciando al Pd la guida del governo. Un presidente de-grillizzato, magari alla testa di un nuovo movimento che tagli definitivamente con il M5s di lotta, alla Di Battista e Paragone per intenderci.
Quello che si dovrà capire nei prossimi mesi è se davvero Conte ha il profilo per costruire questo nuovo movimento, un “M5s 2.0” senza Grillo e senza protesta ma ugualmente capace di raccogliere voti. Se il premier non dovesse riuscire, la tentazione più forte per il partito di Zingaretti sarebbe quella di forzare la mano al Colle e votare tra un anno. Salvini non è più imbattibile, dunque meglio sfruttare l’onda lunga delle sardine e catturare i voti in uscita dal M5s per non lasciare che sia questo Parlamento, pieno di grillini in disarmo, a eleggere il nuovo capo dello Stato.
Le intenzioni del Pd si capiranno dopo il referendum, quando si tratterà di mettere mano alla legge elettorale. I grillini e i renziani premono per un nuovo proporzionale. Ma se davvero si sta tornando al bipolarismo, per il Pd il proporzionale sarebbe un suicidio. Meglio un maggioritario per andare allo scontro diretto con la Lega mobilitando tutte le forze possibili contro la destra.
Conte dunque ha sicuramente guadagnato un anno di governo, ovviamente salvo imprevisti. Ma se vuole arrivare al 2023, ed eventualmente anche al Quirinale, deve mostrare altre doti che finora ha tenuto nascoste.