Finora avevamo conosciuto Matteo Salvini nei panni del pugile sempre all’attacco, senza mai sfoderare il colpo del ko ma costantemente in movimento, pronto a toccare l’avversario e a guadagnare terreno. Oggi scopriamo che è anche un discreto incassatore. La cacciata di Armando Siri dal governo è il punto più basso dell’esperienza leghista nell’esecutivo gialloverde, un uppercut violento a 20 giorni dalle elezioni europee (e amministrative: non dimentichiamo che vanno eletti oltre 3.800 sindaci). La requisitoria dell’avvocato Giuseppe Conte ha avuto la meglio sull’arringa dell’avvocato Giulia Bongiorno. Il povero Salvini ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte e ingoiare il rospo. Il vicepremier ha rimandato avanti la ministra Stefani per chiedere (invano) un’accelerazione sull’autonomia e ha rispolverato l’agenda sovranista. Ma la verità è che fino al 27 maggio i leghisti dovranno restare allineati e coperti, e usare questo tempo, oltre che per la campagna elettorale, soprattutto per capire le mosse da fare dopo.



Il partito dei giudici si è materializzato di colpo, con l’inchiesta su Siri e gli arresti in Lombardia. Questi provvedimenti hanno colpito soprattutto Forza Italia. Il destino degli azzurri è strano: ricorda una canzone di fine anni Sessanta, “Pietre”, cantata dall’italo-francese Antoine. “Sei bello e ti tirano le pietre, sei brutto e ti tirano le pietre”. I magistrati menavano sul partito di Silvio Berlusconi quando era al governo e lo fanno anche ora che sta all’opposizione ma si dà da fare per costituire un’alternativa ai grillini.



Il messaggio politico contenuto negli arresti milanesi è però soprattutto rivolto a Salvini, che oramai è padrone del Nord e viene colpito nella sua regione: occhio a rimetterti con il Cavaliere. E occhio ad alzare troppo le spalle davanti alle iniziative della magistratura e a varare nuove leggi senza ascoltare il parere dei giudici, come è successo per la legittima difesa e anche per il decreto sicurezza, mandato in archivio in quattro e quattr’otto dalla recente decisione di un giudice bolognese di dare la cittadinanza a due richiedenti asilo.

Il M5s si è subito intestato l’iniziativa dei pm milanesi. Lo dimostra l’irrituale conferenza stampa di Di Maio e Bonafede. Il partito della legalità è tornato potente. Il caso Siri ha costretto Conte a gettare la maschera schierandosi con i pentastellati, mentre gli arresti in Lombardia mostrano che i grillini hanno trovato una fortissima quinta colonna fuori da Palazzo Chigi. Il fatto che la richiesta di arresto sia rimasta due mesi sul tavolo del gip prima di ottenere il via libera alla vigilia della decisione su Siri non cancella tutti i retropensieri sulla giustizia a orologeria.



Ora però Salvini deve fare bene i suoi conti. La discesa in campo del partito dei giudici è un avvertimento anche per il dopo voto. Se l’esperienza del governo gialloverde proseguirà, come tutti giurano, i leghisti saranno costantemente sotto scacco, avendo a che fare con un premier di cui hanno sempre meno fiducia e con un M5s che invece gode del sostegno esterno delle toghe. Se questi sono gli alleati, la tentazione di sfilarsi si fa sempre più forte. È l’alternativa che manca, perché Forza Italia è stata messa in ginocchio proprio mentre tentava di rialzarsi. Per ora, dunque, tutto rimane congelato. In attesa dei numeri che usciranno dalle urne.

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