Conte, Fraccaro, Gualtieri, Franceschini, Renzi, D’Alema. Non è il Dream team della confusa storia della maggioranza giallorossa. Bensì la composizione in pieno stile Cencelli del tavolo incaricato di fare le nomine delle partecipate. Una spartizione come di consueto dirimente per le sorti del governo ben più dei temi della prescrizione o del voto su Salvini in giunta delle autorizzazioni a procedere del Senato per il caso Gregoretti. E proprio per questo sul piano politico queste vicende sono strettamente intrecciate.



Nei giorni scorsi la velina promossa da Matteo Renzi ed Italia Viva presso la stampa nostrana recitava che verrano sì cambiati i presidenti ma non i capi azienda, i Ceo delle partecipate. Logico. Sono stati tutti nominati da Renzi o imposti da Renzi a Gentiloni quando era segretario del Pd.

Come farà Zingaretti ad essere sicuro che le nuove nomine non vengano condotte dal manovratore fiorentino a discapito del Pd? Per questo la scelta di chiedere a Leu l’ingresso nel gruppo ristretto di un uomo mai tenero con Renzi: Massimo D’Alema. Quella squadra con Gualtieri scudiero di Zingaretti e Franceschini abile tessitore è in grado di contenere il Matteo progressista.



Ma l’uomo di Rignano una ne fa e cento ne pensa. Ed ha pensato bene di mettere in difficoltà la maggioranza sull’autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti-Salvini in nome del garantismo. Mossa da par suo, considerando che nonostante le smentite fioccate ancora due giorni fa, Denis Verdini confermava in privato ad un vecchio sodale che l’incontro dei due Matteo a casa sua c’è stato eccome. I rappresentanti di Italia Viva in giunta del Senato “leggeranno le carte”, ma il voto finale sarà frutto dell’esito delle trattative su Eni ed Enel piuttosto che dei loro “valori liberali”.



Il tema peraltro è particolarmente scivoloso visto che ben difficilmente si potrà provare che Salvini abbia, da ministro dell’Interno, disposto di una nave militare senza che altri del governo ne fossero a conoscenza o ancor più non abbiano condiviso quelle misure. E se anche la trattativa sulle partecipate riservasse meno soddisfazioni del passato per l’idrovora renziana, nulla gli vieterebbe di essere riconsiderato come il nuovo alfiere della politica italiana contro lo strapotere della magistratura. Come dire che un Matteo sarà il nuovo capo del centrodestra italiano, ma potrebbe non essere Salvini.