Nel marasma grillino in preda alla sindrome da declino è dovuto intervenire il “padre fondatore” Beppe Grillo per mettere un po’ d’ordine. Una galassia già di suo inquieta era in fibrillazione dopo il fiasco in Umbria e le evidenti difficoltà del Governo. Un Di Maio traballante si è gettato supplicante ai piedi dell’Elevato per non sprofondare.
Il sostegno di Grillo è costato al ministro degli Esteri una sconfessione quasi totale: appoggio in cambio di una decisa svolta a sinistra, “con cui si possono fare progetti bellissimi”: l’enunciazione di un’alleanza organica o quasi. Solo una maniera di rallentare una drammatica china discendente? E da dove cominciare?
Lo stato maggiore democratico vorrebbe che si cominciasse dall’Emilia, dove la base a 5 Stelle ha votato per evitare di restare a guardare. Partecipazione simbolica, e magari indicazione di voto disgiunto a favore del candidato presidente, l’uscente Pd Bonaccini? Oppure alleanza, nonostante il disastro umbro, costi quel che costi in termini di consensi?
Grande è la confusione sotto il cielo pentastellato, ma la situazione non è affatto ottima, come avrebbe detto il Grande Timoniere Mao Zedong. Il piccolo timoniere Di Maio ha dato il via alle “regionarie” per scegliere i candidati consiglieri, ma sugli aspiranti presidenti è buio fitto. È andato a parlare con i militanti emiliani, ma non con quelli calabresi.
Eppure il 26 gennaio le regioni al voto sono due: in una situazione politica normale (se volete da “prima repubblica”) l’accordo fra due partiti sarebbe stato facile: uno straccio di intesa programmatica, e poi un candidato presidente a me, e uno a te, uno scambio per suggellare l’alleanza. A te, Pd, Bonaccini a Bologna, che ha buone chances di vittoria, a me, 5 Stelle, la Calabria che a naso dovrebbe essere una delle ultime roccaforti del consenso pentastellato. Un’impostazione del genere avrebbe trovato di sicuro orecchie attente al Nazareno, dove l’inconsistenza politica del partner di governo preoccupa ogni giorno di più.
Se Di Maio non si è mosso lungo questa direttrice non è semplicemente perché il suo Movimento è cosa diversa dalle forze politiche tradizionali. È perché non vuole, o – più probabilmente – non può. A paralizzare il capo politico provvedono le lotte intestine che dilaniano i 5 Stelle, il classico “tutti contro tutti” di chi sente venir meno la terra sotto i piedi, compulsando sondaggi sempre più deludenti e sentendo il fiato sul collo dell’ex partner di governo Salvini. Non si dimentichi poi che non tutto il pattuglione parlamentare ha digerito bene la virata a sinistra.
Al di là delle riserve, però, questo percorso politico sembra ormai obbligato, l’unico in grado di allungare (non si sa di quanto) la vita della creatura grillina. Ed è probabile che alla fine a un’intesa in Emilia e Calabria si arrivi. Il 26 gennaio diventerà quindi una data spartiacque. Se dovesse finire con una doppia vittoria del centrodestra a trazione leghista sarebbero i 5 Stelle a pagare i prezzo più alto: per loro è davvero in gioco la sopravvivenza politica. Legata alla loro, ovviamente è anche la sorte del governo, perché Conte non potrebbe reggere a lungo a palazzo Chigi di fronte allo sfaldarsi del partito che ancora detiene la maggioranza relativa in Parlamento.
È uno scenario che dal Quirinale viene osservato con preoccupazione crescente. A ogni occasione (ultima ieri alla Bocconi) Mattarella si sgola a ricordare che per governare servono competenza e senso di responsabilità. Pericoloso, dice, semplificare una realtà complessa. Parole in cui molti osservatori leggono insoddisfazione per la gestione di crisi aziendali come Ilva o Alitalia.
Se gli elettori di Catanzaro e di Bologna dovessero decretare il successo di Salvini, Mattarella non muoverebbe un dito. Ma a quel punto la vita del governo sarebbe appesa a un filo. Se una delle forze che lo compongono (non si dimentichino i renziani) dovesse aprire la crisi, il Capo dello Stato non potrebbe non tener in considerazione lo scollamento totale fra orientamento del corpo elettorale e numeri in Parlamento. Nuove alchimie non sarebbero consentite. Il 26 gennaio, quindi, sono in gioco contemporaneamente non solo le sorti dei 5 Stelle e del governo, ma anche della legislatura.