Così, a dispetto della maggior parte delle previsioni, il governo Conte 2 mangerà, seduto comodamente, il panettone a Natale. E molto probabilmente anche la pastiera a Pasqua.
A forza di prevederne l’imminente fine, quasi sempre per mano dell’uno o dell’altro protagonista dell’accordo di agosto, molti osservatori hanno perso di vista la realtà dei fatti, che in politica conta ancora molto nel determinare il corso delle cose.
L’intervista consegnata ieri al Corriere della Sera da Nicola Zingaretti ci aiuta a capire cosa pensa e come vede la situazione il principale – secondo i sondaggi – azionista del governo. Forse per la prima volta da quando è segretario, Zingaretti accenna ad una propria autonoma lettura (autonoma anche dalle sentinelle interne al Pd, che lo marcano da vicino) e prova ad esprimere chiaramente il suo punto di vista.
Senza timori e senza abbandonare la tradizionale prudenza, il capo del Pd ci spiega anche quali saranno le sue prossime mosse per tenere insieme il governo.
Non teme i referendum, né li considera insidie da disinnescare.
Non sembra disposto ad alzare barricate sulla legge elettorale e considera un sistema proporzionale con una ragionevole correzione (sbarramento del 5% o modello spagnolo, con soglie più basse ma solo in particolari circoscrizioni) il naturale punto di arrivo di una discussione che non sembra preoccupare più di tanto la compagine governativa.
Non ha difficoltà a riconoscere a Conte un ruolo decisivo nella tenuta del governo, e anche in questo caso, esplicitamente, dichiara di non trovare scandaloso pensare a lui come ad un potenziale candidato premier anche in futuro.
Infine solleva con una certa schiettezza la questione che oggi riguarda Renzi e il suo manipolo di sostenitori: ci dite per cortesia, si domanda Zingaretti, da che parte state?
L’intervista ha ovviamente suscitato le ire dei sostenitori del leader di Italia viva. Che hanno – come ormai fanno tutti i giorni – deciso di destinare a lui il solito attacco quotidiano che il gruppo organizza sui social. Si devono esser sentiti punzecchiare sul lato più dolente della loro recente avventura politica. Essi stessi non sanno bene dove andare a parare con il loro 3-4% che anche il sondaggista più benevolo non riesce ad aumentare. Non sanno se continuare ad essere gli ospiti indesiderati di un centro-sinistra che li ha ormai del tutto emarginati e li tollera solo per il peso parlamentare di cui ancora dispongono, o passare con più decisione a dare man forte al centro-destra, dove vedono disponibile un bacino di voti di sicuro più cospicuo e maggiori affinità, come ad esempio sulla giustizia. A destra però rischiano di competere con la Carfagna, con Rotondi, con Parisi, insomma non proprio un girone di Champions. E poi vi è la complicazione di dover compiere un’ennesima capriola su Salvini, che da nemico numero uno deve improvvisamente diventare un alleato affidabile.
Zingaretti invece chiude il 2019 incamerando altri piccoli ma significativi risultati. Oltre a portare a casa una legge di bilancio che solo 4 mesi fa era semplicemente impensabile, il Pd ha conquistato il centro dell’alleanza e lo stesso M5s sembra sempre di più aperto ad un rapporto univoco con il Pd, come ha indicato chiaramente Grillo nella sua ultima apparizione romana.
Ma anche dai fronti più difficili arrivano notizie positive. Non solo i sondaggi danno il candidato del centro sinistra Bonaccini in forte risalita in Emilia-Romagna, ma addirittura in Calabria in queste ore si è riaperta la partita. Le indagini che hanno portato alla maxiretata dell’altro giorno non hanno solo decapitato la ndrangheta, ma hanno anche colpito alcuni dei principali sostenitori del governatore uscente Oliviero, ormai costretto al ritiro. E questa non è una brutta notizia per il candidato civico Callipo indicato dal Pd nazionale.
L’agenda economica e sociale dei prossimi mesi non si presenta come una passeggiata, ma dall’Ilva all’Alitalia, dalla eterna riforma della giustizia italiana al nodo delle infrastrutture e delle concessioni, sembra almeno riapparso il bandolo della matassa.
Quello che è certo è che il Pd, per quanto criticato e deriso, oggi è il perno della coalizione, ed a esso guardano con più convinzione le forze che aspirano a ritrovare stabilità, dopo un paio di anni trascorsi sulle montagne russe.