Potenza delle parole. Ieri sera il Consiglio dei ministri si è riunito per questioni finanziarie: un assestamento di bilancio e un decreto “salvaconti” da 1,5 miliardi di euro. Provvedimenti esplicitamente chiesti dall’Europa per diminuire il rischio della procedura di infrazione per debito eccessivo. In altri tempi la si sarebbe chiamata “manovra” sia pure correttiva, ma stavolta il vocabolo da tranviere non viene adoperato per non spaventare nessuno. È un’aggiustatina ai conti per impedire che i soldi risparmiati con quota 100 e reddito di cittadinanza vengano spesi in altro modo. Ma il Governo ha dovuto prendere altre decisioni per allontanare lo spettro della ghigliottina di Bruxelles. L’assestamento ingloba le maggiori entrate fiscali prodotte dalla fatturazione elettronica e i dividendi da Bankitalia e società partecipate dallo Stato.
Il nervosismo degli alleati di Governo era evidente. I dati certificano un miglioramento dei conti pubblici, ma Lega e M5s non hanno nemmeno il tempo di sbandierare come trofei di caccia le maggiori entrate fiscali che già i vampiri dell’Ue le congelano come garanzia per il rientro dal debito. E nemmeno questo sarebbe in teoria sufficiente per placare le richieste dei partner. Ma almeno l’Italia dà prova di buona volontà. E le buone intenzioni, condite da solenni impegni, sono state sottolineate da quello che Bruxelles considera il vero garante della retta via finanziaria, cioè il presidente Sergio Mattarella. Durante una visita in Austria, il capo dello Stato ha detto che «vi è una condizione di base di un’economia italiana di grande solidità» e che «non vedo ragioni per aprire la procedura d’infrazione contro l’Italia».
Mattarella insomma si sottrae al coro dei profeti di sventura, che guardano alla procedura europea come il grimaldello per fare saltare il Governo pentaleghista. Per il Quirinale i conti sono in ordine, l’economia è solida e l’esecutivo può tirare avanti. Il problema è che l’esecutivo barcolla come sempre. Ieri, in una giornata che poteva dare spunto per rivendicare i successi della politica fiscale, i due vicepremier si sono azzuffati come ragazzini durante la ricreazione. Di Maio ha saltato il Consiglio dei ministri per un impegno comunicato la settimana scorsa, il che non gli ha impedito di tenere una diretta Facebook in cui prende di mira il collega leghista sul caso Atlantia. «Il silenzio della Lega sulle concessioni dispiace e fa sentire ancora più protetti i Benetton. A me il partito dei Benetton non fa paura», ha detto Di Maio.
Salvini, infuriato per essere rappresentato come il leader del “partito dei Benetton”, ha lasciato prima del tempo la riunione di governo chiedendo di nuovo per Autostrade una soluzione che non comprometta né i dipendenti, né i risparmiatori che hanno investito sul titolo Atlantia e che non hanno colpe. I leghisti dunque frenano sulla richiesta grillina di revocare la concessione ad Autostrade proprio mentre i 5 Stelle chiedevano una posizione comune. Anche quando i conti pubblici migliorano, la tensione tra i due non cala e il braccio di ferro continua.