Qualche prevedibile forzatura giornalistica ha voluto subito trasformare Elisabetta Belloni, dimissionaria dal Dis, nell’ennesima martire della maggioranza di centrodestra. Paiono anzitutto dimenticare, queste voci, che Belloni lascia l’incarico solo ventisei mesi dopo l’insediamento del governo Meloni, al pari di Ernesto Maria Ruffini, ormai ex direttore dell’Agenzia delle Entrate. Il quale già fra una decina di giorni sarà key-speaker all’esordio di una nuova formazione politica d’opposizione. E nelle speculazioni sull’addio della direttrice Dis sembrano giusto mancare interrogativi e ipotesi sul suo futuro: soprattutto allorché nel chiarimento in corso nella leadership Pd affiora con insistenza il nome dell’ex premier Paolo Gentiloni, alla cui ombra è maturata l’ascesa quasi inarrestabile di Belloni nell’alto organigramma della Repubblica.
La responsabile del Dis abbandona comunque nei giorni in cui il ruolo dei servizi di sicurezza nel caso di Cecilia Sala è stato duramente attaccato, spesso dagli stessi media che oggi difendono Belloni. Se sarà individuata qualche responsabilità nel non aver avvertito la giornalista italiana del pericolo d’arresto in Iran, ben difficilmente potrà sottrarvisi il dipartimento che funziona da ultimo filtro verso l’autorità delegata a Palazzo Chigi per la raccolta, selezione e valutazione delle informazioni sensibili da parte di Aise e Aisi. La narrazione mediatica pro-Belloni accredita contrasti con il sottosegretario delegato Alfredo Mantovano nella gestione della crisi iraniana. Ma con il suo blitz da Donald Trump, la premier Giorgia Meloni ha avocato alla sfera strettamente politica il caso Sala, nei fatti esautorando autorità tecnocratiche e diplomazia (a Mar-a-Lago era presente anche l’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, ma non si è trattato di una visita di Stato).
A nessuno è sfuggita, in ogni caso, la scelta sostanziale della premier, affidare direttamente alla nuova amministrazione repubblicana il dossier iraniano, contando anche sul ruolo assegnato su Teheran ad Elon Musk. Non mancava invece chi guardava alla visita di congedo del presidente uscente Joe Biden (un dem cattolico) a Papa Francesco: un versante considerato da alcuni praticabile per il rilascio della giornalista. Certamente un terreno contiguo al Quirinale di Sergio Mattarella.
Il fronte dell’intelligence è permanentemente cruciale per tutti i palazzi del potere romano. Non per caso Giuseppe Conte – premier pentastellato per 30 mesi pur non essendo mai stato un parlamentare eletto – trattenne per sé la delega ai servizi (in passato assegnata allo stesso Mattarella come vicepremier di Massimo D’Alema). A Conte fu con ogni evidenza prezioso incassare il famoso endorsement a “Giuseppi” da parte del presidente americano Donald Trump, nel cruciale “ribaltone” del 2019 sotto la regia di Mattarella. La presunta contropartita fu una controversa missione a Roma – a ferragosto 2019, a crisi di governo aperta – del ministro della giustizia Usa William Barr, alla ricerca di notizie utili a Trump per uscire dal cosiddetto “Russiagate”. Belloni all’epoca era segretario generale del ministero degli Esteri. E per leggere l’attualità non sembra inutile ripercorrere per esteso il curriculum di una “civil servant” certamente di valore professionale e lealtà istituzionale massimi.
Il salto dall’alta burocrazia del ministero degli Esteri alla governance politica del Paese per Belloni avviene nel 2015. Promossa l’anno prima al rango di ambasciatore – a cavallo fra il governo di Enrico Letta e quello di Matteo Renzi (con Giorgio Napolitano al Quirinale) – la diplomatica Belloni viene chiamata a capo di gabinetto della Farnesina da Paolo Gentiloni, subentrato a Federica Mogherini. È in questo passaggio – coincidente con l’avvento di Mattarella al Quirinale – che la tecnocrate prepara un altro rapido balzo: quando nel 2016 Gentiloni sale a Palazzo Chigi, Belloni viene nominata segretario generale degli Esteri, capo dell’intera struttura diplomatica italiana, subito al lavoro sul G7 di Taormina.
La sua posizione non entra in discussione quando il voto 2018 conduce alla formazione del governo Conte 1: ministro degli Esteri – tecnico indipendente, sostenuto del Quirinale – è l’eurocrate Enzo Moavero Milanesi. Ma Belloni rimane salda al vertice della Farnesina anche con Conte 2, quando agli Esteri si trasferisce Luigi Di Maio, il leader di M5s vincitore dell’ultimo voto politico (2018). La successiva chiamata di Mario Draghi a premier di un “governo del Presidente” schiude a Belloni una promozione finale: alla casella strategica del Dis, una della prima nomine dei Draghi.
È in questa veste che la massima responsabile tecnica dell’intelligence nazionale partecipa – secondo indiscrezioni mai smentite di stampa internazionale – a una serie di riunioni riservate fra i vertici della Cia e dei maggiori servizi europei che nell’autunno 2021 monitorano l’escalation russa verso l’aggressione all’Ucraina. Belloni si ritrova quindi a far parte – a nome dell’Italia di Draghi e Mattarella – di un “direttorio” tecnico-politico fra gli Usa di Joe Biden, la Francia di Emmanuel Macron, la Germania del neocancelliere Olaf Scholz e la Gran Bretagna di Boris Johnson (una “governance” occidentale ormai completamente superata a inizio 2025).
In questa cornice non stupisce che nel gennaio 2022 – poco prima dell’inizio della guerra russo-ucraina – il nome di Belloni baleni addirittura per la Presidenza della Repubblica, che sembrava destinata a Draghi e alla quale viene infine confermato Mattarella. La svolta sarebbe stata comunque in sintonia con un certo spirito dei tempi, accentuato dalla crisi geopolitica: pochi mesi fa in Olanda l’omologo di Belloni, Dick Schoof, è diventato premier tecnico del primo governo imperniato sulla destra di Geert Wilders, largo vincitore elettorale.
Nel frattempo Belloni è stata una delle ruote di scorta di Raffaele Fitto sul tavolo della premier nel caso in cui al ministro degli Affari europei non fosse riuscito l’approdo a Bruxelles come vicepresidente della nuova Commissione Ue. Giorgia Meloni non ha però calato la carta Belloni neppure per la sostituzione di Fitto: agli Affari europei è andato Tommaso Foti, altro esponente di Fratelli d’Italia. Sono state altre premesse per un addio alla fine annunciato, che potrebbe però non segnare la conclusione del cursus di Belloni. Tanto che non sorprendono le voci di un prestigioso incarico internazionale in arrivo, per intervento della premier. Un’alternativa (al momento solo teorica) resta la sua discesa in campo politico nella forza centrista che Romano Prodi sta costruendo sotto l’occhio attento di Mattarella; oppure in un’ennesimo contenitore allestito da Renzi, un ex premier molto “geopolitico”.
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