È uno scontro politico quello apparentemente di merito sul Meccanismo europeo di stabilità, versione aggiornata del Fondo europeo salva-Stati.

Va ricordato infatti che la riforma del Mes si concluderà a dicembre con il summit dei capi di Stato e di governo dei paesi europei e, stando al testo esaminato dall’Eurogruppo lo scorso giugno, prevede fra le altre cose una rinegoziazione dei debiti dei singoli Stati, con la possibilità degli Stati creditori di applicare degli interessi più alti per quei paesi considerati meno stabili. Fra questi, l’Italia.



Da qui arriva l’accusa delle opposizioni, con Salvini e la Lega in testa, che accusano il governo di approvare una norma europea spiccatamente anti-italiana. Un’accusa che le forze di maggioranza rispediscono al mittente con due postille: la prima è che a giugno, quando c’è stato il primo via libera alla riforma del Mes, al governo c’erano proprio Salvini e la Lega, assieme agli allora alleati M5s.



La seconda è che la riforma europea non è stata ancora approvata definitivamente. Se ne fa forte Di Maio che pretende da Conte, pro domo leadership del Movimento, cambiamenti profondi.

Lo scontro, tuttavia, è ormai ai massimi livelli istituzionali, con Salvini che chiama in causa il Presidente della Repubblica. “Chiediamo un incontro al Presidente della Repubblica, che è garante della Costituzione”.

Il Capo dello Stato, chiamato in causa da Salvini, ha preferito evitare qualunque reazione. In passato, del resto, non ha mai ricevuto chi lo sollecitava quando la richiesta riguardava un argomento come quello avanzato oggi, la presenza del premier alle Camere e un secondo pronunciamento dell’Aula sul Mes, che investe in modo molto netto le competenze e l’autonomia del Parlamento.



Respinto con perdite dal Quirinale e costretto da Conte a rispondere anche nelle aule di giustizia, Salvini cercherà in Aula lo scontro diretto con l’“avvocato del popolo”, certo di poter produrre prove del “tradimento” perpetrato dal premier e soprattutto di poterlo sbugiardare sul punto dirimente: mai la Lega ha dato il via libera a quella norma.

Ma da Palazzo Chigi giunge voce di un passo del discorso di Conte dove il presidente del Consiglio farebbe nomi e cognomi dei leghisti che avrebbero dato il placet e soprattutto delle circostanze in cui tutto ciò sarebbe accaduto.

Della situazione contano di approfittare il Pd e più di ogni altro Renzi, pronto nonostante le disavventure immobiliari a dare filo da torcere sulla vera partita che sta per giocarsi tra i partiti di governo: quella delle nomine. Mentre nei tg e nei talk show si discute dell’ennesimo complotto europeo, nel buio dei corridoi dei palazzi romani si mettono le mani sui gioielli dello Stato. Piazzare in quei posti gli amici più fidati vale ben di più di una discussione senza costrutto sull’astruso Mes.