Un fantasma si aggira per l’Italia: è quello dell’opposizione al governo Conte. Giorgia Meloni va in piazza criticando Matteo Salvini, Silvio Berlusconi fa capire in ogni modo di essere pronto a fare da stampella all’esecutivo Pd-M5s smarcandosi dai due (ex?) alleati, mentre il leader leghista occupa il Parlamento e chiede le risposte che molti italiani si aspettano su mascherine, Cig, “soldi veri”, sospensione mutui eccetera. Manovre per cambiare il governo? “Sono bufale”, ha detto ieri l’ex ministro dell’Interno a un giornalista: “Secondo lei con l’emergenza della disoccupazione, della cassa integrazione e delle famiglie che non arrivano a fine mese facciamo manovre politiche? Siamo seri”. Salvini sa fare di conto: i numeri non sono dalla sua parte.



Ma c’è qualcun altro che pensa a fare il lavoro sporco che dovrebbe fare la minoranza. E per colmo di paradosso, è dentro la maggioranza che si lavora per fare capire a Giuseppe Conte che appena finirà l’emergenza sarà ben gradito che l’“avvocato del popolo” decida di farsi da parte. È un ruolo che da tempo ha preso su di sé Matteo Renzi. Ma nelle ultime settimane l’insofferenza ha contagiato anche il Pd. Il partito però non si muove con la sfrontatezza del senatore semplice di Rignano. Il movimento anti-premier è più sottotraccia, felpato, ma non meno efficace.



Per coglierlo bisogna mettere assieme una serie di segnali laterali. Per esempio, l’intensificarsi di interviste concesse dal costituzionalista Sabino Cassese, che da un paio di settimane non perde l’occasione di attaccare la deriva autoritaria insita nell’uso dei Dpcm per gestire l’emergenza. Anche Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, si è messa in scia: in una sede istituzionale (la relazione sull’attività 2019) e in una meno impegnativa (un’intervista al Corriere della Sera) ha ricordato la centralità del Parlamento, la necessità della collaborazione con le Regioni e l’esigenza che le limitazioni di diritti e libertà siano temporanee. Hai visto mai che l’emergenza si prolunghi e il governo voglia tirare avanti a colpi di decreti di Palazzo Chigi che non passano per la firma del Quirinale. Al coro si è unito Francesco Clementi, costituzionalista amico di Renzi, inserito da Enrico Letta nella commissione dei 35 saggi che doveva riscrivere la Costituzione. E bisogna notare che ogni tanto si fa sentire perfino il silenziosissimo presidente Sergio Mattarella, l’ultima volta il giorno dopo la disastrosa conferenza stampa di Conte sulla fase 2: il Colle è dovuto intervenire per rimettere a posto una serie di sgangherate dichiarazioni del premier sulla scuola.



Non si tratta di interventi che minano la poltrona di Conte, almeno direttamente. A esprimersi sono cariche istituzionali, indiscutibili, sopra le parti. Ma è chiaro che questo establishment, non certo legato al centrodestra, si sta muovendo con una discrezione pari alla fermezza. Non è ancora un avviso di sfratto, tantomeno una spallata, quanto una messa in guardia, l’avvio di un’opera di lento logoramento. E l’intervista dell’altro giorno di Graziano Delrio – in cui l’ex ministro dice basta ai Dpcm, sì al ritorno del controllo parlamentare e chiede maggiore flessibilità per le Regioni – mostra che anche nei democratici l’insofferenza al protagonismo del premier sta raggiungendo il livello di guardia. E se il Pd comincia a fare il pierino come Renzi, per il governo giallorosso sarebbe un bruttissimo campanello d’allarme.

Conte ostenta sicurezza. È perfino riuscito a rintuzzare un attacco molto pesante, quello dei vescovi dopo avere ignorato le chiese nel programma delle riaperture. Una telefonata in Segreteria di Stato – così raccontano gli esperti di cose vaticane – ed ecco il Papa in persona mettere a tacere la Cei. Ma sottovalutare i segnali che arrivano dagli altri palazzi del potere sarebbe per Conte un errore imperdonabile.

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