Il congresso del Partito popolare europeo a Zagabria è il viale del tramonto di molta della classe dirigente europea che ha retto le sorti del vecchio continente.

Lascia Joseph Daul, francese anzi alsaziano presidente del Ppe, che saluta i congressisti in tedesco facendo professione di amicizia fraterna a Wolfgang Schäuble, presidente del Bundestag, e storico monumento del rigore germanico, anche lui in uscita dalla vita politica.



Lascia Angela Merkel, che ha conosciuto nella sua parabola politica quattordici presidenti del consiglio italiani. E lei sempre lì, sedici anni di fila a capo della (ex?) locomotiva d’Europa. Merkel, oggi marcata a vista dalle sue Erinni, Ursula Von der Leyen e Annegrete Kramp Karrenbauer, la prima presidente della Commissione europea e la seconda neoministro tedesco della Difesa e capo della Cdu, rimane tetragona a ricordare che la svolta al femminile della Germania non finisce con Angela.



Lascia Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo e capo dell’Europa filoatlantica ed antirussa il quale, nel suo nuovo ruolo di capo del Ppe, precisa subito che per la Lega di Matteo Salvini ci sono poche chance di aprire un dialogo con i popolari specie i più ostili ai populisti. Tutti gli occhi sono puntati su Sebastian Kurz, giovane e brillante premier austriaco. Ancora lontano dai quaranta, sprizza energia, decisionismo ma anche consapevolezza matura della storia e dei valori politici cristiano-democratici tradotti per una nuova generazione.

Tra quelli che lo guardano con invidia c’è lui: Silvio Berlusconi. Lui non se ne va. Quando interviene nella grande sala del congresso sono rimaste poche decine di persone, tra cui la pattuglia di giornalisti Mediaset che lo segue per mestiere, la scorta e quelle poche parlamentari ancora convinte di poter staccare un biglietto per un’altra corsa sulla giostra di Montecitorio. Il copione oscilla tra “non ci arrenderemo ai comunisti” e “attenti alla Cina e all’Africa”.



Ai giornalisti ha spiegato pro domo sua che porterà la Lega nel Ppe. Quelli, pietosi o forse servili, neanche gli hanno riferito le dure dichiarazioni di Tusk.

Il Partito popolare europeo si prepara in tutta Europa a raccogliere la sfida del dopo Merkel, della crisi economica, dei populismi, con nuovi volti e strategie adeguate. In Italia si prepara a scomparire. Forza Italia è poco sopra il 5 per cento, gli altri partiti del Ppe non arrivano, ognuno, all’1 per cento. Come la televisione commerciale sta lasciando spazio alla rete, a Netflix, ai social l’uomo di Arcore si ritrova solo, inseguito dai rancori di molti per i troppi insuccessi e le troppe promesse non mantenute e soprattutto ostinatamente attaccato all’idea di “un ruolo centrale di Forza Italia nel centrodestra di cui è spina dorsale testa e cuore” che non trova riscontro nella realtà.

Quando le luci si spengono, Othmar Karas, esperto parlamentare dei popolari austriaci, svela con premura a due giovani deputate slave chi sia quel signore anziano che uscendo le ha salutate con affettata gentilezza: “…è Silvio Berlusconi, un parlamentare del partito di Antonio Tajani”, loro sorridono divertite e corrono dietro a Kurz per farsi un selfie.