L’impasse su Fitto rimane e agita le acque di Bruxelles: il no di verdi, liberali e socialisti europei alla vicepresidenza esecutiva per il ministro meloniano non cade. Si sono sfilati gli europarlamentari italiani, ma continua la resistenza degli altri. Il no viene dalla componente più a sinistra dello schieramento, quella che ha fatto della transizione green à la Timmermans una questione identitaria. E viene da pensare che Ursula von der Leyen, per assicurarsi il voto dell’europarlamento il 18 luglio scorso, abbia promesso troppo a molti. Anche a chi aveva posto, come precondizione per votarla, un “no” alla destra in Commissione, sia pure quella moderata dei conservatori di ECR.
Prende corpo dunque l’ipotesi, già formulata su queste pagine, che la storia del voto contrario di Meloni a von der Leyen vada in parte riscritta. Dietro quel “no” ci sarebbe una Meloni pro-Bruxelles, ma giocoforza sottobanco.
Paolo De Castro, ex ministro dell’Agricoltura nei governi Prodi e D’Alema, tre mandati da parlamentare europeo nel Pse, legittima alcuni dubbi, suggerisce ai verdi di ripensarci e ai socialisti francesi e tedeschi di ridefinire la rotta.
Professore, ci spieghi cosa sta succedendo. Verdi, liberali, socialisti: perché questo ostracismo da sinistra alla vicepresidenza di Fitto?
Attenzione, i socialisti italiani si sono dichiarati a favore: Zingaretti sul Corriere della Sera, Gori su Repubblica. Anche io l’ho detto, insieme ad Antonio Decaro: troverei del tutto incomprensibile non sostenere un commissario italiano.
Ma solo “se si dimostra un vero europeista”, per dirla con Gori.
La storia personale di Raffaele Fitto non lo rende solamente un europeista e atlantista garantito; la sua origine democristiana gli dà i requisiti di tanti europeisti oggi candidati a fare i commissari. E poi i vicepresidenti esecutivi rappresentano i grandi Paesi, sicuramente quelli fondatori. I gruppi politici non c’entrano.
Eppure da parte di alcuni gruppi c’è un’insistenza sospetta, non crede?
La trattativa sulle deleghe è ancora in corso e qualche gruppo utilizza l’appartenenza di Fitto a ECR per alzare il prezzo.
E se invece avessero scoperto il gioco di von der Leyen?
Von der Leyen per essere votata aveva bisogno di una maggioranza solida e l’ha costruita. Spesso si dimentica che nel parlamento europeo si ricerca il consenso sui singoli dossier, non c’è una maggioranza stabilita una volta per tutte. In Commissione Agricoltura ECR ci ha appoggiato molte volte, come abbiamo avuto l’appoggio dei verdi. Essendoci 27 Stati membri di tutti i colori politici, le maggioranze vanno costruite diversamente a seconda dei dossier e degli obiettivi.
Intendevo dire che forse qualcuno, a sinistra, ha negoziato l’appoggio a von der Leyen chiedendo e ottenendo garanzie – ad esempio, “mai con ECR” – ricevute a parole ma poi smentite dai fatti. Lo stesso Fitto, ancora in tempi non sospetti, ha assicurato in conversazioni private che l’accordo c’era, e per di più su deleghe “pesanti”.
Ma l’Italia è l’Italia. Le posso assicurare che c’è una grande stima per il lavoro che Fitto ha fatto nei cinque anni in cui è stato co-presidente di ECR. Ha contribuito a costruire una posizione molto più moderata del gruppo verso la Commissione. Tra lui e von der Leyen si è costruito un rapporto di fiducia che ha fatto di lui il candidato voluto e richiesto dalla presidente. Impossibile che l’Italia fosse penalizzata.
Come mai allora la Meloni ha votato contro la von der Leyen?
Quando questa vicenda sarà finita e la Commissione sarà partita, sono sicuro che si chiarirà anche questo aspetto, che riguarda più gli equilibri all’interno del centrodestra europeo. E poi, scusi ma non sono al corrente di questa diatriba.
Nulla da dire sulla strategia, legittima, di von der Leyen per garantirsi i numeri, ma alcune voci isolate e un pizzico di malizia in queste vicende lasciano supporre che la Meloni abbia garantito segretamente i suoi voti a von der Leyen. E i verdi non ci stanno.
Non saprei… Certamente l’ECR era diviso, perché i polacchi votavano contro (insieme ai Patrioti di Orbán, ndr) e i 24 deputati della Meloni non avevano un peso tale da risultare indispensabili. Ritengo comunque che l’elezione di von der Leyen sia avvenuta non al termine di un contrasto, ma di un passaggio costruito, condiviso.
Ma la Meloni ha fatto intere campagne elettorali contro l’UE. Dunque a che punto è la sua normalizzazione? Altri direbbero la sua “maturazione” politica.
Sta nei fatti. Gli ECR hanno un vicepresidente dell’europarlamento, presidenti di commissione; nella scorsa legislatura hanno sostenuto la maggioranza su molti dossier. Qui torna il ruolo di Fitto: grazie al suo lavoro si sono andati caratterizzando come forza di centrodestra moderata.
Cosa si aspetta dall’incontro tra Meloni e Draghi, autore delle raccomandazioni sulla competitività?
Mi auguro che il suo rapporto possa essere di ispirazione per tante politiche dell’Unione. Non c’è dubbio che in questa ultima legislatura siamo stati un po’ travolti da questa visione green a prescindere. Non andava solo indicato il “dove” vogliamo andare, andava costruito il “come” vogliamo arrivarci. Un “come” da stabilire con più prudenza e meno errori.
Allora i verdi premono ancora su von der Leyen perché voglio quel green subito, senza se e senza ma.
Guardi, i verdi sono crollati a 53 deputati dai 72 che avevano. In Germania sono all’11,9%, hanno perso 8 punti rispetto al 2019. Se ne facciano una ragione. In Germania e Francia i socialisti hanno scimmiottato i verdi e sono pressoché inesistenti. Le politiche verdi estreme non sono nell’anima della sinistra europea. In europarlamento a volte non capivo la differenza tra i verdi e gli SPD, che risultavano più estremisti dei primi. E il sociale?
(Federico Ferraù)
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