“Salvini deve cominciare a darsi un partito e a proporre una visione del paese, se vuole vincere i prossimi referendum su se stesso” dice Paolo Becchi, filosofo del diritto e opinionista di Libero, ideologo di M5s prima di diagnosticare con largo anticipo – nel 2015 – lo scacco del Movimento formato-Gianroberto Casaleggio. Becchi ha poi abbracciato un sovranismo non nazionalista ma identitario, lo stesso che oggi suggerisce a Salvini.



Secondo Becchi i parlamentari 5 Stelle pensano in maggioranza di aderire alla “cosa” di centrosinistra che ha in mente Grillo e non ancora venuta allo scoperto. Di certo, con varie sfumature, è la stessa cui pensano Zingaretti e Conte. “Ma in maggioranza – nota Becchi – stanno tutti facendo i conti senza l’oste”.



M5s è agonizzante: il 4,7% in Emilia-Romagna, regione-simbolo, e un corpaccione parlamentare del tutto sproporzionato, pari al 33% degli eletti. Come si risolve questa contraddizione?

Non si risolve se non sciogliendo le Camere. Ma evidentemente chi potrebbe farlo non è di questo avviso e così siamo in una situazione di democrazia sospesa. Di certo i 5 Stelle che sono in Parlamento faranno di tutto per restare attaccati alla poltrona.

Qualcuno ha scritto che “a convocare le elezioni senza aspettare il referendum, poi rischieremmo di trovarci con 345 abusivi fra Camera e Senato”.

Si voleva evitare che Salvini facesse pressioni per lo scioglimento in caso di vittoria in Emilia. Salvini ha perso, ma il problema rimane.



E perché?

È evidente. Il taglio dei parlamentari quasi sicuramente passerà, e il giorno dopo Salvini potrebbe dire: è legittimo un Parlamento di mille deputati e senatori in cui, per di più, 300 grillini non rappresentano più nemmeno se stessi?

Sembra facile.

Lo so bene che non lo è. Ma il Pd potrebbe anche non voler finire la legislatura.

O invece potrebbe proprio voler arrivare al 2023.

In questo momento l’unico che sta cercando in tutti i modi di allungarne la vita, facendo accordi anche con Forza Italia, è Beppe Grillo. È lui il primo sponsor di questa situazione, perché vuole mandare Prodi al Quirinale.

E nel frattempo?

Non è da escludere che il centrosinistra che si sta formando, fatto da Pd più M5s, Zingaretti voglia farlo guidare allo stesso Conte. Proprio come l’Ulivo di Prodi. Intanto Grillo detta la linea, prende accordi, fa le prove.

Quali prove?

Sta lavorando per mettere in piedi un’alleanza organica del M5s ligure con il Pd in vista delle regionali di maggio. L’accordo Pd-M5s in Umbria è fallito perché non è stato preparato bene. Lo hanno capito e in Liguria si stanno muovendo per tempo.

E dopo cosa manca?

A parte le urne e i voti, solo la benedizione della Cei. Arriverà anche quella.

Il Garante dunque si sta impegnando seriamente.

Altroché. Avrebbe voluto che Di Maio rimanesse per fare il parafulmine, ma Di Maio lo ha capito e non è stato al gioco. Crimi è come se non ci fosse. Intanto l’obiettivo è quello che ho detto.

Ma Prodi ha negato ancora di voler fare il presidente della Repubblica.

Così però non fa che confermarlo. Deve stare attento, perché il 2022 non è domattina, mancano due anni e di questo passo potrebbe logorarsi. E poi avrebbe bisogno di una maggioranza che lo elegge.

Quella di Movimento 5 Stelle e Partito democratico.

Ma furono i voti del centrosinistra a impallinarlo nel 2015, se non ricordo male.

Nei 5 Stelle chi difende l’opzione Zingaretti e accordo col Pd?

Fico, Morra, Taverna e con loro molti altri. Credo la netta maggioranza.

E quelli che guardano alla Lega?

Sono pochi e insignificanti. Tranne uno: Paragone. Gianluigi potrebbe effettivamente svolgere un ruolo, sa bene che ci sono due Movimenti in uno, quello del 2009, ispirato a Gianroberto Casaleggio, e quello del 2017. Potrebbe difendere l’ispirazione originaria e giocarla contro l’altra, ma l’operazione mi sembra ferma: ha cercato una sponda in Di Battista che non c’è stata.

Siamo all’implosione definitiva?

Il Movimento creato da Gianroberto, la forza anti-sistema, anti-Ue, anti-euro, non esiste più da tempo, almeno dal 2015. Adesso tocca a Grillo e alla sua cosa di sinistra.

Di Maio ha chance di riorganizzarsi e di presentare una proposta politica alternativa?

Non credo. Forse lui lo pensa, ma quando si fa un passo indietro così, gli altri ti lasciano rientrare? Ne dubito.

Dunque in Emilia gli elettori hanno anticipato i vertici?

Sì e il voto nelle restanti Regioni sarà una conferma. Vedremo una coalizione articolata, di sinistra, opposta a chiunque sarà dall’altra parte, da Toti a Salvini, centro contro periferie.

Vuol  dire che se farà come in Emilia, la Lega potrebbe perdere ancora?

La Lega ha stravinto e stravincerà nei paesini, ma a Genova, Savona, Imperia, Spezia potrebbero esserci dei passi indietro. Idem nelle altre Regioni.

Qui, inevitabilmente, veniamo agli errori di Salvini. Lei lo ha scritto: i referendum non sempre si vincono, si perdono anche.

Salvini ha giocato d’azzardo: faccio un referendum su di me, vediamo se lo vinco. Stavolta lo ha perso. La partita però era quella. Il punto semmai è non andare a referendum.

In che modo?

La Borgonzoni non era all’altezza. Bonaccini ha detto: guardate chi sono io e che cosa ho fatto in cinque anni, c’è una differenza o no tra me e Borgonzoni? Come dargli torto. Era difficile contrastare Bonaccini sulla competenza, e Salvini ha giocato l’arma del referendum su di sé. Poteva vincere o perdere. Ma è difficile “liberare l’Emilia” da chi la governa bene: per scalfire il vantaggio del Pd avrebbe dovuto conoscere i dossier e parlare dei problemi reali, delle cose che non vanno, mettere in discussione il modello emiliano.

Che cos’ha fatto invece?

È rimasto impigliato nei gesti provocatori e in battaglie come quella per Bibbiano e sui problemi generali. Il punto è che non si vince solo con le periferie, bisogna saper parlare anche ai grandi centri.

Qual è il suo suggerimento?

Quello che dovevo dire l’ho detto al congresso della Lega lo scorso dicembre. Salvini deve offrire agli italiani una visione alternativa del paese. La chiusura dei porti e la legittima difesa non sono una risposta sufficiente. Cosa vuole fare Salvini per l’economia e le famiglie italiane? Quali riforme istituzionali propone? Ci vogliono parole guerriere forti, avrebbe detto Casaleggio, che non vuol dire odiare il prossimo ma avere un progetto politico da costruire.

Salvini le risponderebbe che è stato lui a cambiare la Lega: da partito secessionista fallito ne ha fatto un partito anti-establishment a vocazione nazionale.

Operazione riuscita, ma al prezzo di correre un grave rischio: quello di fare il Front National italiano. Io ho cercato di contrastare questo fenomeno e in parte credo di esserci riuscito, proponendo un sovranismo non ideologicamente di destra ma pragmaticamente identitario. C’è troppo Stato inefficiente? Si riscrivano le autonomie, coniugando questione nazionale, federalismo, solidarietà ed efficienza. Ancora: tradizione liberale non significa neoliberismo, ma divisione dei poteri; qual è il programma di Salvini per governare la giustizia? Un fatto è certo: inondare la rete di messaggi non basta più.

E nel frattempo?

Ha perso una battaglia, non la guerra. Cominci ad attrezzarsi o diventerà troppo tardi.

Quali mosse o quali imprevisti possono rovinare i piani di Conte, Grillo e Zingaretti?

È difficile rispondere, ma resta un’incognita: Renzi cosa farà? In maggioranza stanno tutti facendo i conti senza l’oste. È diventato soltanto un cane che abbia e non morde, visto che il suo partitino non decolla? 

(Federico Ferraù)