Dal nero al rosso. Dopo quello che è stato definito il Governo più a destra della Repubblica italiana, il Parlamento uscito dalle urne il 4 marzo 2018 sta per varare definitivamente (il voto di fiducia al Senato è previsto per quest’oggi) l’Esecutivo forse più rosso del dopoguerra.

Un “ribaltone” cultural-politico, gestito – e questa sembra essere la terza anomalia per un Paese come l’Italia a “vocazione/trazione” moderata – dal medesimo presidente del Consiglio: il prof. Giuseppe Conte, già “avvocato del popolo” ed adesso anche lauto dispensatore di “umanità”.



Tutto legittimo, s’intende. Ma anche tutto assai poco “normale”.

Colpa delle scelte improvvide del Matteo beach Salvini o frutto del trasformismo “poltronaro” della dirigenza 5 Stelle? Risultato delle acrobazie politiche dell’indomito Matteo nazionale – al secolo – Renzi, oppure fatale conseguenza dell’indecisionismo cronico (ed ormai nefasto) di un Cavaliere sempre più in mezzo al guado?



Un fatto è certo. La decisone avventuristica della Lega di uscire dalla maggioranza giallo-verde sembrava aver aperto la strada ad una modernizzazione del quadro politico nazionale con la costituzione di un inedito quanto “rivoluzionario” tricolore rosa-giallo-azzurro.

Un Governo “pastello” capace di rimarginare le crepe prodotte dal “sisma” sovranista (con le quali il nuovo Governo giallo-rosso sarà destinato a fare i conti nelle piazze), di strappare le istituzioni alle grinfie della giungla social e prefigurare una coraggiosa alternativa politica.

Opportunità che molti avevano assaporato e persino suggerito, ma che nessuno ha avuto l’ardire politico di offrire al Capo dello Stato come ipotesi di soluzione alla pazza crisi agostana.



Tutti (senza distinguo tra maggioranza vecchia o nuova) hanno preferito continuare a guardarsi l’ombelico scegliendo la soluzione più semplice e teoricamente meno onerosa dal punto di vista elettorale, ma politicamente “piatta”, “insipida”, “abusata”, “incolore”, come egregiamente testimoniato dalla comunicazione del presidente incaricato alla Camera dei deputati in occasione del voto di fiducia e confermato dai primi sondaggi che vedono il gradimento del nuovo Esecutivo sfiorare appena la soglia del 39% (dati Swg).

Insomma, l’esatto contrario delle aspettative dei cittadini e delle reali esigenze di un “sistema Paese” in costante e disperata ricerca di “normalità”: normalità nel rapporto burocrazia-cittadini, giustizia-politica, fisco-contribuenti.

Quella normalità che – per altro conto – è sempre l’antitesi ad ogni richiesta di “pieni poteri”!