La confusione che regna nel Movimento 5 Stelle ha costretto Mario Draghi a fermarsi un giro, come al Monopoli. Prima di passare dal via, il presidente del Consiglio incaricato preferisce aspettare che si esprima la base grillina con il voto sulla piattaforma Rousseau. È l’ultima giravolta di questa crisi ed è la conferma che ormai nemmeno Beppe Grillo tiene in pugno il suo partito. La sequenza dei fatti illustra lo psicodramma pentastellato. Giuseppe Conte si dimette certo del reincarico, che invece non arriva. Quando il Colle chiama Draghi, i 5 Stelle si dividono tra i fedelissimi di Luigi Di Maio (e del seggio parlamentare), i nostalgici di Alessandro Di Battista e gli irriducibili di Conte. Il reggente Vito Crimi fa più piroette della prima ballerina della Scala. La scissione è a un passo.



La situazione si complica con l’appoggio a Draghi dell’odiato Silvio Berlusconi e dell’ancora più vituperato Matteo Salvini. Deve rimettere piede a Roma lo stesso Beppe Grillo, ma all’arrivo scopre che Davide Casaleggio gli minaccia addirittura di sfilargli il Movimento dalle mani agitando lo spettro di un voto contrario della base. Grillo acconsente al pronunciamento degli iscritti alla piattaforma Rousseau sperando di riprendere il controllo, ma un’assemblea di militanti e parlamentari rimescola di nuovo le carte. La soluzione trovata è quella del rinvio del voto popolare in attesa che Draghi confermi quello che di lui ha detto Grillo: “È uno di noi”.



Il premier incaricato fa sapere, tramite le associazioni ambientaliste per la prima volta ascoltate prima della formazione di un governo, che è allo studio un superministero della transizione ecologica. Ma il rischio che Rousseau sconfessi l’Elevato resta alto, soprattutto perché Grillo ha chiesto anche di tenere fuori la Lega.

Draghi però non può cedere a questo tipo di pressioni. Sarebbe intervenuto lo stesso Sergio Mattarella, con un giro di telefonate, per ricordare ai leader dei partiti che il “pacchetto Draghi” non è oggetto di trattative. Prendere o lasciare. Il presidente incaricato si sarebbe parecchio indispettito per le giravolte grilline. Probabilmente è soltanto l’antipasto di quello che lo attende nei prossimi mesi.



La faccenda ieri pomeriggio ha conosciuto un ulteriore attorcigliamento. Facendo per bene i calcoli sulle varie ipotesi di coalizione parlamentare, si è scoperto che con l’ingresso in maggioranza della Lega il governo Draghi potrebbe anche fare a meno dei grillini. Il dilemma è pesante: accelerare i tempi rinunciando al partito di maggioranza relativa alle Camere, oppure attendere un altro giorno in modo che i 5 Stelle rabbercino una soluzione? Mattarella e Draghi optano per la seconda strada, anche se le consultazioni si sono ufficialmente concluse ieri sera e probabilmente il premier incaricato sarebbe stato pronto per salire già oggi al Quirinale per sciogliere la riserva con l’elenco dei ministri.

Morale: oggi, giorno lavorativo, dalle 10 alle 18 (e non nelle abituali 24 ore) il M5s vota su Rousseau su un quesito sconcertante. Il testo è il seguente: “Sei d’accordo che il Movimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super ministero della transizione ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal Movimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. È un interrogativo costruito apposta per dare il via libera a Draghi e tacitare i riottosi Conte, Di Battista, Lezzi, Morra eccetera. Il presidente incaricato si prende un giorno per riflettere e limare nomi e discorsi, in attesa che Rousseau emetta la sua sentenza. Il Quirinale non tace e, secondo i rumors,  conferma quello che aveva detto: niente ministeri politici. M5s è servito.

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