Chissà per quanto tempo Luigi Di maio rimpiangerà di aver rifiutato l’ultima offerta di Matteo Salvini: Palazzo Chigi alla testa della riedizione del governo gialloverde, senza Giuseppe Conte. Se lo avesse fatto, non solo avrebbe conquistato la presidenza del Consiglio, ma avrebbe anche conservato la leadership indiscussa del Movimento 5 Stelle. La crisi di governo si avvia infatti verso la sua conclusione mietendo la sua seconda vittima, dopo Matteo Salvini. La cosa è fin troppo evidente: cogliendo al volo l’insofferenza di Beppe Grillo per l’indecente mercato delle poltrone in corso, il Pd con Franceschini si è precipitato a proporre la cancellazione nuda e cruda della figura del vicepremier. E lo ha fatto proprio con il papabile numero uno per quell’incarico.



L’immediato plauso da Zingaretti e Orlando, e il consenso dimostrato da Conte per le parole di Beppe Grillo rendono chiaro che l’unico vero ostacolo che si frappone ormai sulla via della soluzione della crisi è proprio l’attuale vicepremier, sinora irremovibile nel rivendicare allo stesso tempo un ufficio a Palazzo Chigi e un ministero di peso, come il Viminale.



Ormai è chiaro: il duello è fra Conte e Di Maio. E l’attuale capo politico è sempre più solo. Di sicuro lo ha abbandonato il comico genovese, resta invece da capire la posizione del figlio dell’altro fondatore, Davide Casaleggio, che ha in mano le chiavi della piattaforma Rousseau, su cui nelle prossime ore dovrebbero votare gli attivisti 5 Stelle per dare il via libera definitivo all’intesa.

Di Maio è rimasto talmente isolato che una delle pochissime voci ad alzarsi in sua difesa è quella di Gianluigi Paragone, il senatore giornalista strenuo avversario dell’intesa con i democratici. È lui a spiegare che attraverso Di Maio il Pd vuole colpire quanto di buono è stato fatto nel governo gialloverde.



Conte ormai si muove in totale autonomia dal Movimento, arrivando persino a definire inappropriato classificarlo come espressione dei 5 Stelle, contro tutte le evidenze. Vuole chiudere fra martedì e mercoledì, ed è alle prese con il puzzle dei ministeri. Solo Bonafede, oltre a Di Maio, ha qualche chance di riconferma. Comunque vada a finire, la galassia grillina dovrà trovare un nuovo assetto, e non sarà facile. Tutto può accadere, dalla ridiscussione del ruolo di capo politico a fuoriuscite di singoli o di gruppi. E le sirene democratiche, che vorrebbero alleanze locali con M5s, potrebbero accelerare la resa dei conti interna.

Ma anche in casa Pd la conclusione della crisi aprirà una nuova fase. Certo, il ritorno al governo, inconcepibile sino a un mese fa, metterà in ombra le contraddizioni interne. Ma sulla segreteria di Zingaretti, che l’esecutivo con i 5 Stelle non voleva farlo, rimane la spada di Damocle di Matteo Renzi. È stato l’ex segretario, con una piroetta imprevedibile, a imporre il cambio di linea. Ma adesso Renzi cosa farà? Farà la scissione, oppure punterà a riprendersi il partito, visto che ha dimostrato di poter imporre le proprie posizioni a piacimento? Il fatto che minaccioso faccia sapere che o il governo punterà sulla crescita, oppure non avrà i suoi voti non fa certo stare tranquilli. E per il 18 ottobre è stata convocata la decima Leopolda, dove forse si capirà qualcosa di più. Zingaretti non può certo dormire sonni tranquilli.

Naturalmente il post crisi si preannuncia burrascoso anche nel centrodestra. organizzare la traversata del deserto non sarà facile, viste le pressioni internazionali su Berlusconi perché si allontani da Salvini. Quel “basta ai sovranismi” pronunciato al Quirinale, dopo il colloquio con Mattarella, è una sorta di dichiarazione di guerra al leader della Lega, che – visto il calo nei sondaggi – non può più immaginare di fare a meno di Forza Italia a cuore leggero se vuole essere competitivo. Anche Giorgia Meloni appare intenzionata a chiedergli molta più collegialità, mentre qualche scricchiolio si avverte anche dentro la stessa Lega, dove pure oggi nessuno può immaginare di mettere in discussione la leadership salviniana.

Chiusa la crisi, insomma, si aprirà una fase di assestamento che interesserà un po’ tutti i partiti. E fra qualche mese la mappa politica italiana potrebbe essere piuttosto diversa da oggi.