Avevamo già visto questo film l’inverno scorso, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo: una serie di provvedimenti restrittivi presi “in crescendo”, come in una partitura musicale, per culminare nella chiusura totale. Lo spartito è il medesimo, anche se finora condotto con maggiore gradualità. L’obiettivo proclamato è quello di adottare misure per “evitare un nuovo lockdown” perché “il Paese non potrebbe permetterselo” e “non reggerebbe” davanti a un nuovo periodo di isolamento generalizzato.



Evitare “un nuovo lockdown”, parole che restano sospese nell’aria come una spada di Damocle, una minaccia che incombe sulle teste degli italiani. Si esorcizza la nuova chiusura, intanto però si applicano chiusure localizzate, si pensa a imporre il coprifuoco a bar e ristoranti, a proibire le feste private, a ridurre la portata dei mezzi pubblici. Si lanciano anatemi sugli aperitivi serali e sui ritrovi giovanili. Si sperimenta il brivido del mancato numero legale in Parlamento a causa dei contagi e delle quarantene. Si convocano vertici di governo, li si annullano e si riconvocano d’urgenza il giorno dopo: è successo venerdì e ieri pomeriggio con la riunione dei ministri capidelegazione dei partiti.



Il vertice doveva mettere a punto le misure che saranno inserite nel Dpcm in calendario (al momento) per giovedì 15 e valutarne un’eventuale anticipazione. Ma dalle indiscrezioni uscite si naviga ancora a vista, senza un accordo preciso. Si è parlato di uno stop alle feste private anche casalinghe e di vietare gli sport amatoriali di contatto, come il calcio a 7. Piccoli provvedimenti che si aggiungono allo stop per bar e ristoranti alle 24, e per gli aperitivi alle 21. Massimo 30 persone nelle cerimonie: è la convivialità il nuovo nemico da colpire. Oggi si riuniscono di nuovo i ministri più direttamente interessati.



Così si tiene alta la tensione. È un sistema per costringere anche la gente più recalcitrante a portare la mascherina, ma anche un modo per garantire al governo un altro periodo di permanenza al potere. Ormai l’emergenza è prorogata fino a gennaio: altri sei mesi e si arriverà ad agosto, quando scatterà il semestre bianco che precede l’elezione del capo dello Stato e le Camere non possono essere sciolte.

Proprio dal Colle sono giunti felpati messaggi di insofferenza verso l’esecutivo per la gestione di questa fase. Il Quirinale è preoccupato per la persistente mancanza di dialogo tra maggioranza e opposizione: e dialogo non significa elemosinare qualche voto quando manca il numero legale. Mercoledì va approvata la Nota di adeguamento al documento di bilancio che anticipa la manovra per il 2021, e il sostegno parlamentare non può essere raccogliticcio, mentre al momento le assenze nella maggioranza pesano, soprattutto al Senato. Ma al Colle apprezzerebbero anche un minore ricorso ai Dpcm che tanto piacciono a Palazzo Chigi, a favore di una condivisione parlamentare attraverso i decreti legge.

L’altro giorno Sergio Mattarella ha detto una frase che è stata interpretata come una tirata d’orecchi ai negazionisti del Covid: “La libertà non è un fatto esclusivamente individuale, ma si realizza assieme agli altri, richiedendo responsabilità e collaborazione”. Due parole che anche dalle parti del governo bisognerebbe tenere ben presenti. Perché è vero che i numeri del contagio sono in aumento e in alcune imprevidenti regioni del Sud gli ospedali cominciano ad andare in sofferenza. Ma l’arma della paura e della tensione va maneggiata con estrema cura. Nessuno conosce il futuro. Tutti ci auguriamo che il coronavirus non ci aggredisca più. E gridare “al lupo al lupo” è in primo luogo un invito alla prudenza. Ma se gridi troppo forte e il lupo non c’è, l’allarme eccessivo potrebbe trasformarsi in un boomerang.