Due “Russiagate” si intrecciano. Uno, il caso Metropol, interessa Salvini e su di esso i media italiani, a fasi alterne, continuano a indagare. Lo ha fatto l’ultima puntata di Report. Tra mille polemiche, perché Salvini è a disposizione della Procura di Milano, ma finora siamo fermi a quell’“assolutamente no” che il pg Francesco Greco disse a chi, il 16 luglio scorso, gli chiedeva se i pm avessero in programma di sentire l’allora ministro dell’Interno sui presunti fondi russi alla Lega.
L’altro “Russiagate” riguarda il premier Conte, che ieri è stato audito dal Copasir in merito ai rapporti dei servizi segreti italiani con il ministro della Giustizia Usa William Barr sulla vicenda delle mail di Hillary Clinton acquisite dai russi. Si tratta del presunto complotto organizzato dal comitato elettorale di Trump e dal Cremlino durante la campagna presidenziale 2016, ma di cui il procuratore Müller non ha prodotto alcuna prova. “Alla luce delle verifiche fatte – ha detto Conte in conferenza stampa dopo avere relazionato al Copasir – la nostra intelligence è estranea in questa vicenda. Abbiamo rassicurato gli interlocutori Usa su questa estraneità e ci è stata riconosciuta. Non hanno elemento di segno contrario”.
Tutto a posto dunque? No, per Edward Luttwak, analista americano di politica estera. A quanto è dato sapere, Conte non ha violato le regole, ma la spy story ha il merito di distogliere l’attenzione dal vero problema. Che a tutt’oggi rimane intatto.
Conte nel 2018 non ha delegato l’Autorità per la sicurezza della Repubblica. Neppure lo ha fatto nel settembre scorso, dopo la crisi di governo. Perché?
Conte non è un membro del Parlamento, non era e non è un politico. Altri prima di lui hanno tenuto per sé il controllo dell’intelligence. Non sta scritto da nessuna parte che debba delegarlo. Probabilmente nemmeno sapeva della questione.
Lo sapeva benissimo, e lo sa bene anche lei, Luttwak. Soprattutto lo sa chi ha presieduto alla formazione di entrambi i governi, vale a dire il presidente della Repubblica.
Ripeto: il premier ha il diritto di trattare direttamente coi servizi. La prassi di avvalersi di un sottosegretario non può essere vincolante.
Però un dubbio che aleggia su tutta la faccenda è se, e in che misura, Conte si sia avvalso dei servizi per disporre di informazioni riguardanti i ministri, soprattutto il capo di un partito ritenuto pericoloso per l’Ue l’unione monetaria.
Qui siamo in un territorio che non è affatto nuovo. Se un politico, o il tuo nemico politico, ha rapporti che riguardano l’ambito di cui sono chiamati ad occuparsi i servizi, dev’essere sorvegliato.
Quali rapporti?
Qualsiasi politico italiano in rapporti con la Cina dovrebbe essere sorvegliato, come dovrebbe esserlo qualsiasi politico in rapporti con la Russia.
Dunque parliamo di Nuova Via della Seta.
L’Italia è l’unico paese avanzato che ha accettato l’offerta cinese di partecipare alla Belt and Road Initiative. La firma del memorandum non sarebbe mai avvenuta senza un’influenza particolare della Cina sull’Italia. Un’influenza esercitata non genericamente, ma attraverso membri del governo che funzionavano da asset cinesi. Ecco, in un caso come questo i servizi italiani avrebbero dovuto essere molto più attivi.
Può essere più esplicito?
I rapporti di Salvini con i russi e quelli di Tria con i cinesi sono o dovevano essere ambedue legittimo territorio di preoccupazione per i servizi italiani.
Anche per quelli americani?
No, americani no. Gli americani si interessano solamente dell’impatto geopolitico di questi rapporti, non della loro sorgente. Resta il fatto che avere ricevuto Xi a Roma come un imperatore, mentre tutti gli altri paesi hanno rifiutato, riflette una specificità culturale e politica tipica dei governi italiani.
Quale specificità?
Quella di rinunciare, spesso e volentieri, alla propria dignità. L’Italia non può sempre permettersi di essere rispettabile… Durante la guerra fredda la Fiat contrabbandava tecnologia in Unione Sovietica, mentre Andreotti benediceva un’intesa con i terroristi palestinesi che permetteva loro di transitare in Italia per attaccare obiettivi ebrei o israeliani in Europa, ma non nella Penisola.
Come si chiama questa postura politica?
Si chiama stare giù in strada, all’angolo, pronti a fornire i servizi necessari. Dimenticandosi però della regola che la mamma avrebbe dovuto insegnare: prima bisogna farsi pagare, e poi fare quanto richiesto.
Torniamo alla Cina.
Xi è stato ricevuto a Roma sia perché c’erano membri del governo italiano che hanno lavorato per servire l’interesse cinese, sia perché c’era l’idea patetica, assurda, che Xi Jinping avrebbe coperto l’Italia d’oro.
Quando c’è stata la firma del memorandum, Salvini ha preso le distanze e ha disertato la cena di Stato. Poi è arrivata la crisi di governo, ma Salvini non ha più avuto la fiducia degli Usa; Conte invece ha ricevuto da Trump un endorsement decisivo per fare il premier del governo giallorosso. Perché?
Tutto questo purtroppo è accaduto senza nessun coordinamento. Salvini non ha partecipato alla festa per Xi Jinping su specifica richiesta del governo americano. Al G7 di Biarritz, Trump ha agito senza riflettere su quanto aveva fatto Salvini; si è comportato a modo suo, come fa sempre, senza consultare lo staff.
Qual era la linea dello staff?
Che Trump non dicesse una parola su Conte, perché Salvini aveva fatto un favore all’America.
Il 4 luglio Salvini ha partecipato alla cena in onore di Vladimir Putin. Questo ha dato fastidio agli Usa?
No. Quello che interessava agli Usa era la firma del 23 marzo. Ed era importante. Gli incontri con Putin non sono importanti.
Altri due eventi restano da interpretare. Il primo è il viaggio di Mike Pompeo: in Italia il rischio di interferenze “esiste, ma non lo limiterei alla Russia” ha detto il segretario di Stato.
Si riferiva alla Cina. E a un ministro del governo italiano.
Vuol dire che gli Usa non sono ancora sicuri della scelta di campo dell’Italia.
Vuol dire che gli Usa sono informati dei rapporti fra un ministro italiano di allora e la Cina.
Dopo il viaggio di Pompeo, Mattarella va negli States e difende ancora una volta la globalizzazione. Ma i dazi di Trump sono dovuti alla sentenza del Wto, di cui l’Italia fa parte.
Anche questa volta l’Italia ha deciso di rinunciare alla sua dignità. È vero che la multa è legalmente imposta dal Wto, è stata la posizione di Mattarella, però l’Italia sarebbe giusto esentarla… è un paese povero, mica una delle maggiori economie del mondo, no? Siano gli altri a pagare, non l’Italia.
L’impressione è che nella guerra dei dazi, con una Ue che verrà stritolata, l’Italia non abbia ancora scelto da che parte stare.
L’Italia è strutturalmente nella parte occidentale e americana. Ci sono infiltrazioni cinesi dappertutto, ma in un grande spazio che è legato agli Usa da moltissimi interessi comuni e che va salvaguardato. Per convenienza e per intelligenza politica. La Cina è arrivata in Cambogia ma non in Vietnam. Ad Hanoi arrivano ovviamente gli investimenti cinesi, ma Hanoi non è nell’orbita di Pechino. Per Xi invece oggi è più facile infiltrare l’Italia che non il Vietnam. Purtroppo molti politici italiani non vogliono essere una signora rispettabile.
La guerra dei dazi andrà avanti per molto?
No, non per molto. La crescita cinese sta decelerando molto rapidamente. Ai cinesi conviene trovare presto un accordo. Continuerà invece la partita geopolitica.
Fino a quando?
Fino alla caduta del regime.
(Federico Ferraù)