L’ultimo schiaffone da parte degli alleati è di quelli che lasciano i segni sulle guance, e sanno tanto di provocazione. In una domenica in cui dal blog delle Stelle si continua a definire la Tav un’opera antistorica, la risposta leghista porta la firma dei due capigruppo, Romeo e Molinari, ed è durissima: che ci fanno i 5 Stelle al governo, visto che la Tav si farà? La sparata è brutale, ma coglie nel segno. Il Movimento attraversa una crisi profonda, di cui al momento non si vede la fine. Non interrogarsi sulle prospettive future sarebbe da stolti.



Il bilancio del primo anno di governo è fallimentare. È arrivato il reddito di cittadinanza, ma con tali e tanti paletti da raggiungere molte meno persone di quanto auspicato. Poi pochi altri provvedimenti, tutti sostanzialmente marginali. È in dirittura d’arrivo il taglio dei parlamentari, sono passati il taglio dei vitalizi, la legge spazzacorrotti, un decreto dignità di scarsa consistenza. In compenso non sono stati fermati né Tav, né Tap (Trans-Adriatic Pipeline), non è stata chiusa l’Ilva di Taranto, e neppure le autostrade sono state tolte ad Atlantia (anzi, la si è coinvolta nel salvataggio di Alitalia).



A lungo è stato stridente il contrasto con un alleato esuberante, che ha quasi sempre dettato l’agenda, usando come una clava il tema del contrasto all’immigrazione clandestina, parte di un più generale scontro con l’Europa. Al netto di qualche passo falso, questa strategia ha pagato a lungo, portando la Lega ai massimi storici, e i 5 Stelle, sempre a rimorchio, ai minimi.

Possono i grillini continuare a lungo così, senza correre il rischio di avviarsi sul viale del tramonto, oppure di spaccarsi? A complicare un quadro già complesso il progressivo affrancarsi del premier Conte dal suo ruolo di esecutore del contratto, parallelo all’appannarsi della leadership di Di Maio. Che esista o meno un progetto politico da costruire attorno al premier è il nuovo tormentone dell’estate politica italiana. Nonostante le smentite ufficiali, si tratta di qualcosa di più di un semplice sospetto. E, in fondo, potrebbe non essere un male per i 5 Stelle, che si stanno strangolando lentamente da soli proprio per via del loro isolamento. Nella stessa direzione va l’apertura all’alleanza con le liste civiche cui le votazioni su Rousseau hanno dato il via libera per le future tornate elettorali amministrative.



Siamo alla tattica, però, non alla strategia. Potrebbe non bastare. Ora che la finestra elettorale di settembre è stata allontanata grazie a una fase movimentista post-europee che ha tenuto sul filo del rasoio per due mesi la politica italiana (ma è riuscita nell’intento di contenere Salvini), i grillini devono interrogarsi su cosa voglion essere da grandi. Perché davanti hanno due scogli terribili: la legge di bilancio e lo scontro sull’autonomia differenziata richiesta dalle Regioni del Nord. Le sue priorità Salvini le ha già dettate, e si può essere sicuri che userà ogni arma per affermarle, compreso minacciare la caduta del governo in piena sessione di bilancio. Agitare lo spauracchio dell’esercizio provvisorio per prevalere non solo sugli alleati, ma anche sul partito del rigore e dell’europeismo moderato, rappresentato dall’asse Conte-Tria-Moavero, abile sin qui a giocare di sponda con il Quirinale, come si è visto dalla manovra che ha portato a evitare la procedura d’infrazione.

Ritrovare una ragione sociale, dopo tante sconfitte, non sarà facile per i 5 Stelle, ma è un passaggio doveroso. Serve una credibile scala di priorità. Un processo tutt’altro che indolore, viste le numerose fratture che percorrono il Movimento. E che, alla fine, dovranno arrivare a dare risposta a un quesito semplice: in un sistema tripolare in cui nessuno ha i numeri per fare da solo, o ti allei con uno dei tuoi avversari o con l’altro. O con la Lega, oppure con il Pd. La questione è sul tavolo, anche se gli ostacoli per un dialogo sono tanti, sia nelle rispettivi basi, sia negli stati maggiori. In caso contrario, l’unica alternativa a questo governo diventano le urne, dopo le quali il terzo incomodo, l’alleato attuale Matteo Salvini, potrebbe avere la forza per fare da solo.

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