Grandi manovre all’interno della sinistra. Matteo Renzi rilancia la sua startup Italia Viva e raduna 5mila persone a Catania seguendo la strategia di Emmanuel Macron in Francia, che ha conquistato la presidenza scavando il terreno sotto i piedi del partito socialista. Carlo Calenda annuncia per il 21 novembre la nascita di un nuovo movimento politico cercando di agganciare l’ex renziano Matteo Richetti e, al momento, non si sa bene chi altro. Il Pd, liberatosi del renzismo, cerca una sua nuova strada a Bologna, più a sinistra del passato, lontana dalle sirene della “terza via” che tanto fascino (e scarsi voti) riscosse negli anni di Blair e Clinton. Anche se, nei giorni scorsi, il segretario Nicola Zingaretti è volato negli Stati Uniti e tra le prime mani che ha stretto c’erano proprio quelle di Bill Clinton.



A Bologna il Pd si ripensa affrontando grandi temi e grandi questioni: ambientalismo, green economy, nuovo welfare, il futuro delle giovani generazioni, industria 4.0, riscrittura dello statuto interno. “Tutta un’altra storia” è il titolo della tre giorni zingarettiana nel cuore della sfida elettorale (le regionali in Emilia-Romagna) che fra due mesi e mezzo probabilmente deciderà i destini del secondo governo Conte. Una grande assenza è stata tuttavia notata, quella dei temi sul tavolo del governo. Ilva, tasse, manovra, eredità di Salvini: perché un conto è protestare come le sardine che non abboccano all’amo leghista, un altro è capire se e come sia possibile superare i decreti sicurezza dell’ex ministro degli Interni. Il governo è in carica da due mesi e mezzo e nulla è stato fatto in questo senso.



Ma soprattutto nel Pd latitano l’idea di crescita economica e una linea di politica industriale. Che fare con l’ex Ilva, con Alitalia, con la stagnazione dell’economia tedesca e i settori manifatturieri italiani che sopravvivono grazie all’export in Germania? Il partito di Zingaretti a Bologna non ha aperto questi dossier. Chissà per quale occasione li conserva tanto gelosamente.

In questo modo manca una strategia per l’oggi all’interno del governo Conte, dove lo schema resta quello del combattimento tra i due galli Di Maio e Renzi mentre i democratici stanno a guardare, prigionieri del loro essere “responsabili”. E siccome il vuoto dev’essere sempre riempito, ecco che qualcun altro detta la linea al partito delle grandi idee ma dei piccoli fatti. Sull’ex Ilva, per esempio, si vede chiaramente chi sta imponendo la strada da seguire: è il M5s vecchio stile che, nella latitanza della politica (e di loro stessi), si butta nelle mani dei giudici.



La decisione di Conte di percorrere la via giudiziaria è un segnale chiaro. Lui, l’avvocato del popolo, il mediatore che non trascura il minimo appiglio per risolvere le controversie interne, si affida alla magistratura per dirimere il contenzioso con ArcelorMittal sulla gestione dell’acciaieria di Taranto. È sempre stata la strategia di Grillo: spianare la strada alla magistratura, lasciare che siano i giudici, con le loro inchieste, a disegnare il presente della politica e il futuro del Paese. In mancanza della politica industriale, ecco il governo che fa ricorso in tribunale, ed ecco i pm che aprono fascicoli sul passo indietro della multinazionale dell’acciaio. Giudice, mio giudice, pensaci tu. Tutta un’altra storia rispetto alle ambizioni del Pd di Zingaretti.