È l’Europa a 25+2 quella che ha preso plasticamente forma – quasi sfrontatamente, in realtà – con la cena di Parigi organizzata da Emmanuel Macron con Olaf Scholz e il leader ucraino Volodymyr Zelensky; e ancor più con la spedizione negli Stati Uniti dei ministri delle Finanze dei due Paesi europei Bruno Le Maire e Robert Habeck per parlare a quattr’occhi con l’amministrazione Biden della spinosa questione dei 370 miliardi di dollari dell’Inflation Reduction Act.



Una bomba atomica di soldi che minaccia di piegare come una lattina di Coca-Cola nel pugno di Rocky l’economia europea sotto un’ondata di concorrenza sleale, risibilmente contrastata dai quattro soldi che l’Europa permette di usare come aiuti di Stato per la ripresa.

È l’Europa dei 2+25 che fa ghignare il resto del mondo. Altro che Unione.



L’effimera compattezza conosciuta dall’Unione contro il Covid si è dissolta quando il confronto internazionale è tornato nell’ambito del denaro. Quando la minaccia di morte che incombeva su ciascuno di noi poteva viaggiare nel fiato, inconsapevole, di tutti noi l’Europa si è compattata. Ora che la minaccia di morte pende solo sul popolo ucraino – del quale non importa assolutamente niente a nessuno dei governanti europei, e tanto meno a quelli che lo dicono di più – i due pezzi grossi dell’Unione, che dopo gli Usa più stanno spendendo in sedicenti aiuti militari a Kiev, sono anche quelli che più vogliono prenotarsi diritti di ricostruzione nel territorio dilaniato dall’aggressione russa e vantaggi asimmetrici per sé nella gestione dei nuovi equilibri economici mondiali.



Una porcheria monumentale, che segue quella consumatasi sulla querelle del caro-energia e dei “tetti” ai prezzi di gas e petrolio.

I commentatori di casa nostra hanno concentrato i loro strali sulla visibile marginalizzazione patita da Giorgia Meloni nell’occasione del vertice di Parigi, dove capitan Zelensky non le ha concesso nessun vertice bilaterale ma appena un siparietto in piedi a favore di telecamera finito nello spazio di un quarto d’ora.

Dunque la Meloni non conta niente? Assolutamente no: è l’Italia, però, a non contare niente. Non contava assolutamente niente neanche nel breve regno di Mario Draghi. Draghi personalmente era stimato ed incluso nel club dei grandi in quanto anti-italiano, in quanto italiano omologato alla cupola del grande capitalismo finanziario mondiale, capeggiato dalla Goldman Sachs. Guidata da Draghi, l’Italia si presentava ai partner europei sterilizzata (o almeno difesa) dal suo male storico, lo sperpero del denaro pubblico che si è tradotto in un debito mostruoso, e insieme evirata di qualsiasi velleità nazionale (non nazionalista) di cui invece Francia e Germania si nutrono.

La cosa brutta per Meloni è semmai quella di essere stata snobbata anche da Spagna, Portogallo e Grecia, e presa sul serio solo dalla Polonia e ovviamente dall’Ungheria dell’appestato Orbán. La fibrillazione atriale che perseguita l’aborto politico chiamato Unione Europea impedisce il formarsi di quell’anticorpo che in qualsiasi altro contesto sarebbe fisiologico che nascesse, ovvero uno schieramento politico antagonista alla leadership franco-tedesca, fisiologicamente capeggiato da Italia e Spagna, le economie di maggior consistenza dopo le prime due.

Le critiche espresse dalla Meloni sono definibili un atto di coraggio, anche di coraggio politico, ma lasciano il tempo che trovano: “Quello che era giusto – ha detto – era la foto dei 27 con Zelensky, anticipare la compattezza con una riunione a Parigi era politicamente sbagliato”. Bravissima. Ma a meno di un miracolo – Macron e Scholz che si scusano! – la critica resterà miseramente iscritta nella hall of fame delle frasi celebri della politica italiana.

Quel che può impattare pesantemente sull’Italia e i suoi veri, vitali interessi di business insomma non è il broncetto di Macron, che immaginiamo prontamente rientrato appena calato il sipario, ma il dilagare della potenza americana dietro lo scudo di quei 370 maledetti miliardi di dollari, la metà di tutto il Recovery Plan europeo, con la differenza che il Covid adesso negli Usa non c’è. Cosa pensiamo che dicano, Parigi e Berlino, a Washington? “Per favore non fateci male, non fate male a noi due. Quanto agli altri, ognuno per sé”. Che maestri, che modelli di comunione d’intenti e di politica.

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