Chiedersi se Draghi possa o debba lasciare Chigi per il Quirinale, o se non convenga che che concluda la legislatura, non è più una domanda politicamente innocente. Dipende da chi la pone. Lo si vede dalle cronache politiche dei maggiori quotidiani, che mentre continuano a ripetere che Mattarella è indisponibile al bis, sottolineano il suo “gradimento” e argomentano a favore dell’opportunità di un nuovo mandato, per permettere a Draghi di “concentrarsi” sul Pnrr. Insomma, il gioco di specchi è cominciato.



“Mattarella ha avviato la sua campagna elettorale” dice al Sussidiario Antonio Pilati, saggista, ex componente dell’Agcom e dell’Antitrust “e ci sono una serie di mosse che cercano di costruire le condizioni per rieleggere il presidente uscente”.

Ieri il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, in evidente difficoltà con la gestione del dossier migratorio, ha proposto lo ius soli. Lo stesso ha fatto Giovanni Malagò, presidente del Coni, reduce da uno straordinario bilancio olimpico.



Pilati, quali mosse?

Mattarella punzecchia Draghi su varie cose, dal rallentamento su decreti attuativi del Dl Sostegni bis all’eccessiva decretazione d’urgenza.

Il senso di questi interventi?

Mi pare che Mattarella cerchi di indebolire Draghi senza farsi troppo vedere, e ovviamente nel pieno rispetto dei limiti previsti dal suo ruolo istituzionale.

E Draghi, il diretto destinatario?

Fa finta di niente. Ma di fatto è in ritardo sulla tabella di marcia. La riforma Cartabia del processo penale deve ancora essere approvata in Senato, anche la riforma della concorrenza è slittata all’autunno; non parliamo poi del fisco.



Cosa pensa dell’articolo di Giovanni Valentini “Tutti gli errori di Mattarella” uscito sul Fatto Quotidiano? Non avere affidato un mandato esplorativo a Salvini nel 2018, durante il lungo stallo, avrebbe compromesso il resto della legislatura.

Una riflessione molto lucida. Valentini lascia intendere che Mattarella ha sempre avuto in testa il governo M5s-Pd, previo logoramento di Salvini. Ma questa è storia.

Allora torniamo alla politica. Perché questa analisi, perché adesso?

Travaglio forse cerca di far pagare un prezzo per la riforma Cartabia del processo penale, malvista da certe toghe, e forse vuole lanciare Conte nella corsa al Quirinale.

Renzi ha detto ieri a Libero che “anche Casini ha le caratteristiche che lo rendono adatto al ruolo”.

Probabilmente Renzi pensa che il derby Mattarella-Draghi finisca in uno stallo e prepara uno schema di riserva. Il profilo di Casini è molto interessante: storia democristiana poi berlusconiana, eletto con il Pd, è stato segretario dell’Internazionale democristiana. 

“L’immigrazione è in aumento, ma non bisogna parlare di invasione” ha detto ieri Lamorgese, che poi ha difeso lo ius soli. Nel 2019 andò al governo (giallorosso) anche per superare i decreti sicurezza, come richiesto da Mattarella.

L’operato di Lamorgese nelle politiche migratorie è fallimentare, e il ministro dell’Interno deve inventarsi qualcosa per distrarre l’attenzione.

È fallimentare o intenzionale? Lamorgese, che difende la ricollocazione volontaria, ha già sostenuto che l’integrazione è l’esito naturale dell’accoglienza.

È la posizione classica della sinistra. In più crea problemi a Draghi sul fronte Lega.

E poi c’è Malagò. Anche lui, sull’onda dei successi olimpici dell’Italia, ha chiesto lo ius soli.

La sua uscita non va sopravvalutata. Ha avuto uno straordinario colpo di fortuna con queste olimpiadi e cerca di sfruttarle per rafforzarsi. Malagò è un uomo della lobby romana che guarda al centrodestra e poi si schiera a sinistra. Non è il primo.

Armando Siri ha detto che con il green pass “si vuole buttare fuori la Lega dal governo”. Ritiene che la politica migratoria rientri in questo progetto?

Effettivamente un governo senza Lega era un disegno, che poi si è dissolto, di Enrico Letta. Ora però quell’idea si è tramutata in qualcosa di diverso: il tentativo di costruire una maggioranza di grandi elettori pro Mattarella. In questo senso, l’obiettivo di acutizzare lo scontro con la Lega è sempre valido, ma per tagliarla fuori dal gioco del Quirinale. In due modi.

Quali?

Da un lato dicendo che quello che propone Salvini, dai migranti al green pass, è inaccettabile. Dall’altro accreditando la versione, del tutto irreale, di un Salvini debole sul piano interno, osteggiato da Giorgetti e Zaia.

Dunque l’obiettivo non è tanto un governo diverso.

Il vero obiettivo è giocare la partita che conta, quella del Quirinale.

Ma l’arbitro che viene eletto risulta decisivo per le sorti del governo.

Sì, però è un tema che si affronta dopo l’elezione.

Non crede che l’elezione, viceversa, sia anche condizionata da questa scelta?

Non ci giurerei. Se eleggono Mattarella, sappiamo che non scioglie le camere. Se eleggono Casini, è probabile che non sciolga. Se eleggono Draghi, non è detto che sciolga. Il punto vero però, come abbiamo detto più volte, è che tutti questi conti rischiano di essere fatti senza l’oste.

Fuori di metafora?

In molti, dentro e fuori il parlamento, ragionano come se il mondo esterno non ci fosse. La situazione economica è difficile, in campo internazionale le catene di distribuzione sono in tensione e l’approvvigionamento ne risente. Si rischia di importare inflazione e di complicare la ripresa, mentre il green pass potrebbe mettere in difficoltà svariati settori del mondo dei servizi. Fare i conti senza l’oste rischia di metterci in una situazione di grave debolezza verso l’esterno.

Chi c’è all’esterno?

I nostri veri referenti. La partita del Quirinale si gioca anche su questo: chi riesce a dare migliori garanzie a Stati Uniti e Germania.

Resta dell’avviso che sia Draghi a dare più valide garanzie?

Non c’è confronto quanto a status internazionale.

Però, come ci ha detto Calogero Mannino, occorre qualcuno che lo voti.

Se decidono qualcosa, Stati Uniti e Germania credo abbiano modo di farsi sentire. Anche in parlamento.

(Federico Ferraù) 

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