Si tratterà sino all’ultimo, ma un’intesa ancora non si vede. Il primo voto per scegliere i dieci membri laici del Consiglio superiore della magistratura di nomina parlamentare rischia di essere una fumata nera, nonostante la fretta del Quirinale di archiviare la stagione tormentata dell’ultima consiliatura di Palazzo dei Marescialli, mai tanto sofferta, con sei componenti dimissionari, oltre a un membro di diritto dimessosi in anticipo dell’ordine giudiziario.



L’auspicio di Mattarella è che si possa voltare pagina in fretta rispetto agli scandali partiti con il caso Palamara. I componenti togati, tornati da 16 a 20 sulla base della riforma Cartabia che ha tentato (invano) di cancellare le correnti, sono stati eletti a metà settembre, ma non si possono insediare sino a che l’organismo non sarà completo.



Domani, martedì, alle Camere riunite in seduta comune sarà necessaria una maggioranza di tre quinti dei componenti. Se non si arriverà subito all’elezione, dal terzo scrutinio il quorum scenderà lievemente, a tre quinti dei votanti. In ogni caso, la maggioranza non può fare da sola, serve l’intesa con almeno una parte dell’opposizione. Il presidente Lorenzo Fontana ha già stabilito che si voterà ogni martedì, sino all’elezione. Un modo per dare certezze sulla tempistica, senza dovere ogni volta cercare una data libera sul calendario. Ma c’è anche chi, come Enrico Costa (Azione), invoca una convocazione quotidiana, sino all’elezione. Del resto, il Parlamento è in serio ritardo: a settembre non ha proceduto per via delle elezioni e a dicembre una prima data è stata posticipata, ufficialmente per via della legge di bilancio, in realtà per l’assenza di intese politiche. Un nuovo rinvio non sarebbe stato comprensibile.



Sull’esito finale rischia di pesare anche un’altra novità introdotta dalla riforma Cartabia: la presentazione in anticipo delle candidature. Non basta essere professori di diritto o avvocati di lungo corso, ora serve manifestare pubblicamente la propria disponibilità, sotto forma di autocandidatura (quasi tutte), o di indicazione da parte di almeno dieci parlamentari (pochissime). C’è un diluvio di nomi sul sito di Montecitorio: a sabato scorso erano addirittura 282. Eppure ancora non bastano. I nomi di genere femminile non raggiungono il 40% previsto dalla legge, quindi il termine per la presentazione delle candidature verrà riaperto sino alla mattina del voto, ovviamente solo per donne.

Al di là delle questioni di genere, il nodo è tutto politico. La nuova maggioranza di centrodestra reclama 7 dei 10 posti disponibili. La ripartizione proposta sarebbe di 3 designazioni per Fratelli d’Italia, 2 per Lega e Forza Italia e uno ciascuno per Pd, M5s e Terzo polo. Ma i democratici non ci stanno, reclamano 2 posti e una ripartizione 6 a 4 fra maggioranza e opposizione.

Peserà, naturalmente, anche la qualità dei nomi proposti. Nelle settimane scorse è girato di tutto, compresi i nomi di Marta Cartabia e Alfonso Bonafede. È girata persino la voce di una moral suasion del Quirinale per sbarrare la strada a ex parlamentari dell’ultima legislatura, o a deputati e senatori in carica. Tutto seccamente smentito.

Scorrendo la lista delle candidature le più accreditate appaiono quelle di Giuseppe Valentino per Fratelli d’Italia e di Fabio Pinelli per la Lega, mentre fra le fila degli azzurri i nomi papabili sono quelli di Enrico Aimi, Fiammetta Modena e Roberto Cassinelli, tre ex parlamentari. I nomi di Cartabia e Bonafede non compaiono, l’opposizione continua a tenere le carte coperte. Per i corridoi dei palazzi circola persino l’ipotesi che, in caso di irrigidimento di Pd e M5s, scatti una trattativa fra centrodestra e Terzo polo che punti a raggiungere la maggioranza dei tre quinti in autonomia, facendo cappotto e indicando tutti e dieci i nomi. Ma non sarebbe una bella partenza per la legislatura.

Di sicuro il centrodestra è intenzionato a reclamare l’indicazione del successore di David Ermini come vicepresidente, la figura che gestisce il Csm in stretto raccordo con il Capo dello Stato e che deve essere scelto fra i componenti espressi dal Parlamento. Un nome di livello adeguato indicato dalla maggioranza potrebbe essere votato dai 7 consiglieri di Magistratura Indipendente, la componente più moderata delle toghe.

Sbloccare la partita del Csm è vitale perché il sistema giustizia funzioni: per i partiti il primo vero banco di prova di una capacità di dialogo indispensabile se si vuol cominciare una seria discussione sulle riforme, che non potrà eludere il nodo giustizia.

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