La decisione di dichiarare tutta l’Italia zona arancione è arrivata al termine dell’ennesima giornata convulsa nella gestione della crisi del coronavirus in cui ancora una volta sono apparsi evidenti i limiti della gestione di questa fase drammatica. Di fronte al preoccupante crescere del numero dei contagiati Giuseppe Conte si è trovato a dover accogliere la misura più drastica, sponsorizzata all’unisono dai suoi due più acerrimi nemici, Matteo Renzi e Matteo Salvini.
Non si tratta della prima convergenza fra i due Matteo più famosi della politica italiana negli ultimi giorni. Anche sulla necessità di chiudere la Borsa di Milano all’indomani della prima decisione di estendere la zona dei divieti i due antagonisti di Conte si sono trovati in sintonia. E i fatti hanno dato loro ragione, visto che Piazza Affari è incappata in una seduta catastrofica, seconda sola al giorno dopo il referendum inglese sulla Brexit. Vero è che il tonfo dei mercati è stato planetario, ma che l’epicentro dei terremoto fosse Milano era facilmente prevedibile. E tenere la Borsa chiusa, o quantomeno vietare le vendite allo scoperto avrebbe attutito il colpo, per quanto questo fosse inevitabile.
C’è pure un terzo punto in cui Salvini e Renzi la pensano allo stesso modo, la necessità di mettere la gestione dell’emergenza nelle mani di una personalità credibile e apprezzata, quel Guido Bertolaso per molti anni capo della Protezione civile. Anche su questo, come sulla chiusura della Borsa, Conte ha mostrato di non sentirci, anche perché richiamare Bertolaso equivarrebbe ad ammettere l’incapacità propria e dell’attuale numero uno della Protezione civile, Angelo Borrelli, di fronte all’enormità del problema che il Pese si trova ad affrontare.
La tenaglia dei due Matteo non va però sottovalutata da Palazzo Chigi. Se è vero, come diceva Agatha Christie, che tre indizi fanno una prova, allora bisogna prendere atto che un dialogo è probabilmente in atto, e nessuno può escludere che venga a galla nel dopo-emergenza.
Adesso nulla può succedere intorno al governo. Troppo alta è il livello dell’emergenza. E probabilmente ci sarà una fase di collaborazione istituzionale, a cominciare dall’incontro fra Conte e i leaders dell’opposizione, quando finalmente il premier si troverà faccia a faccia per la prima volta con il suo ex vice dopo gli stracci volati ad agosto. C’è anche la spinta forte del Quirinale dietro al dialogo fra maggioranza e opposizione. Ma questo scudo non durerà all’infinito. La crisi, prima o poi, finirà, e la politica tornerà protagonista.
Dall’emergenza coronavirus Conte potrebbe uscire rafforzato politicamente, ma anche fiaccato dai tantissimi errori che la sua squadra ha accumulato. Errori di comunicazione, innanzitutto. Errori giganteschi, come il pasticcio intorno alla chiusura delle scuole, o la fuga di notizie sulla prima ordinanza di blocco del Nord, con la fuga di migliaia di fuorisede verso le Regioni meridionali. E quando si governa un grande paese in difficoltà la comunicazione è decisiva per evitare di scatenare il panico.
In politica le rese dei conti si possono rinviare per straordinarie ragioni, ma non all’infinito. Il pressappochismo, l’incertezza, le esitazioni potrebbero essere la pietra tombale dell’esperienza di governo chiamata a gestire la fase più buia della storia dell’Italia repubblicana. Del resto, anche Churchill, evocato da Conte, venne messo da parte alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo aver guidato la Gran Bretagna alla vittoria.
Renzi e Salvini hanno un interesse convergente nello sbarazzarsi di Conte, poi probabilmente le loro strade politiche si separeranno. Difficile immaginare il leader di Italia viva alleato con il centrodestra. Quando le zone rosse e quelle arancioni saranno finalmente un ricordo, per quanto brutto, si aprirà una fase politica del tutto nuova e inaspettata qualche settimana fa. La fase del rilancio dell’economia, che dall’epidemia uscirà sicuramente prostrata. Sarà un azzeramento di fatto; in cui, per Conte, ci potrebbe essere molto meno spazio rispetto a oggi.