C’è un dato che sembra unificare le pur distinte dinamiche politiche portate avanti da Matteo Renzi e, sull’altro versante, da Matteo Salvini: l’interesse comune a non andare al voto.
E se il primo, con lo stile da impavido di chi sa di avere in pugno il Governo, lo ammette candidamente chiarendo che “la legislatura proseguirà nel suo corso naturale fino al 2023 Conte o non Conte”, l’altro, il celtico, il lumbard, o come amano definirlo nel suo “contado”, il capitano, lo fa intuire con la circospezione che si addice ad una ferrea determinazione.
La prova provata, che nei fatti svela anche il bluff dell’8 agosto, è contenuta nell’intervista rilasciata l’altro ieri al Corriere della Sera. Una conversazione assai significativa che assomiglia molto ad una rassicurazione pubblica indirizzata a precise orecchie.
Nella notte del trionfo della presidente Donatella Tesei, il leader leghista, seppur raggiante e duro come non mai contro l’esecutivo e “l’ammucchiata giallo-rossa”, si guardò bene dal chiedere le dimissioni del Governo. Dimissioni che, a stretto giro di posta, furono invocate dall’on. Giorgia Meloni ma che Salvini non riprese neppure nell’affollata conferenza stampa di lunedì 28 ottobre.
Questione di stile? Macché, scientifica strategia!
Così che, se molti vedono nelle elezioni regionali del gennaio prossimo in Emilia-Romagna l’ultimo banco di prova per la maggioranza Pd-M5s, Matteo Salvini rassicura: “In ballo c’è solo il voto degli emiliano-romagnoli”. Un modo per togliere valenza nazionale alla consultazione (che comunque sarà cruciale per le sorti della segreteria Zingaretti) ed allentare la pressione accumulata sul Governo dopo la sconfitta umbra.
Dice Salvini: non sono “stato io a portare il premier in Umbria a mettere la faccia su una sonora sconfitta”. Ovvero: la responsabilità di aver nazionalizzato la vicenda umbra con la trasformazione dell’accordo di governo in alleanza politica è tutta del Pd. Quella sinistra che – picchia duro il leghista – “non potrebbe archiviare una sconfitta (in Emilia-Romagna, ndr) come se nulla fosse. …Se vincessimo sarebbe un’ottima notizia per i cittadini mentre per il Pd sarebbe la nona o la decima sconfitta consecutiva. Tanto più clamorosa perché subita in una regione rossa”.
Tradotto: il Governo non cadrà per mano leghista. Altri, a sinistra, dovrebbero caso mai assumersi questa responsabilità! Responsabilità che porterebbe la destra dritta dritta al Governo e che il Pd non eserciterà mai.
Salvini questo lo sa bene e, per cementare ancor di più la maggioranza ed allontanare il voto, rincara la dose: “Se si votasse oggi il centrodestra avrebbe una maggioranza assoluta e governerebbe il Paese”.
Minacce, ma senza fine di lucro.
Bordate a salve come quelle di Renzi sulla finanziaria che Italia viva, nonostante la miriade di micro-tasse, comunque voterà. Per prenderne, subito dopo, le distanze.
Una saga di ambiguità assai sospetta che sembra far intravedere una sorta di patto Renzi-Salvini per trascinare la legislatura ed eleggere insieme il nuovo Presidente della Repubblica, sfilandolo dalle mano di grillini e Pd.