Nel calderone della tempesta di voci e pettegolezzi che si inseguono e si avvolgono come una tromba d’aria a Roma in questi giorni, un misto di scivoloni diplomatici e faide interne sembra stia minando il Governo, anche se questo non da segni di cadere e andare al voto. Matteo Salvini, fresco dell’investitura ricevuta nelle scorse settimane dagli Stati Uniti, con l’incontro con il Segretario di stato Mike Pompeo, ieri ha pensato di festeggiare la festa nazionale americana (il 4 luglio appunto) in una cena con il presidente russo Vladimir Putin.



Forse, Putin non è un “nemico” dell’America come può essere il presidente cinese Xi Jinping, al cui incontro a Roma a marzo Salvini si sottrasse per prudenze atlantiche. Certo però la Russia neppure è un alleato americano, e quella cena in grande stile del Governo italiano col premier Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio e Salvini appunto forse non è stata una grande mossa diplomatica.



Del resto il Governo aveva già incassato un sonoro smacco. Alle recenti nomine europee l’alleanza di paesi e gruppi forti, Germania e Francia, popolari e socialisti, hanno saltato una rappresentanza del Governo italiano. Hanno invece votato un membro dell’opposizione, il Pd David Sassoli, come Presidente del Parlamento dell’Unione. Come dire: riconosciamo l’Italia dell’opposizione, ma non di questo Governo.

Certo restano ancora le scelte dei commissari, ma il messaggio comunque è chiaro, e il ritiro della procedura di infrazione per il debito è ininfluente perché al di là dei proclami Roma si è piegata a Bruxelles. Il Governo sembra stia adoperando tagli orizzontali in settori delicati come la scuola che potrebbero avere ricadute gravi nel lungo termine nel Paese. La crescita globale si impernia sullo sviluppo del capitale umano, sulla scuola, quella che è stata tagliata.



D’altro canto il partito di maggioranza relativa, il M5s, pare sia nel mezzo di una faida. Davide Casaleggio (“padrone” del movimento) sembra voglia andare alle elezioni il prima possibile. Pensa, forse giustamente, che prima si va al voto, e si porta il movimento all’opposizione, prima si ferma l’emorragia di consensi in atto. Più invece si aspetta, sei mesi, un anno, più il risultato elettorale di M5s si assottiglia. Con un M5s ridotto al lumicino, intorno o sotto il 5% poi, come spesso è successo in Italia, qualche magistrato potrebbe svegliarsi e aprire un’inchiesta sui rapporti forse poco cristallini tra la Casaleggio e i deputati M5s.

Ma la Casaleggio ha potere solo in caso si vada al voto. Senza elezioni il potere vero è nelle mani dei deputati. Molti di loro sono veri “professionisti del Parlamento”, cioè senza posto a Montecitorio tornerebbero disoccupati. Molti hanno acceso mutui, si sono comprati la macchina o la casa a rate. Senza lo stipendio rischiano di essere rovinati. Inoltre, per statuto, non potrebbero ricandidarsi, e certamente anche se si ricandidassero la maggioranza non sarebbe rieletta. Che importa a loro quindi dei possibili guai del Movimento o della Casaleggio? Il loro interesse è lo stipendio oggi. In più sono al governo, quindi ci sono favori, privilegi a cui dovrebbero rinunciare. Possibile quindi che essi siano pronti a ogni compromesso pur di non rischiare le elezioni.

Essi nei fatti allora dirottano per propri interessi privati la politica italiana. Il calo dei consensi c’è perché la gente vede/pensa che il M5s non governa, giudizio evidentemente condiviso in Europa, visto quello che si è visto finora. A Roma comanda di fatto Salvini, che però ha una maggioranza solo virtuale (la vittoria alle elezioni europee) e quindi nei fatti non governa.

Così in uno “squagliamento” della politica, il presidente Sergio Mattarella cerca di tenere in piedi la baracca. Egli di fatto fa da Premier e ministro degli Esteri supplente, ma ciò forse non basta più. Non basta l’alta responsabilità di pochi quando c’è l’inefficienza di molti. La Spagna o la Grecia sono passate per scossoni politici ed economici formidabili, ma oggi ne sono uscite più sane. La loro economia gira meglio di quella Italiana e il Pil di Madrid potrebbe presto sorpassare quello di Roma.

Forse l’idea di offrire una supplenza politica a un Parlamento incapace non è più giusta. Forse sarebbe meglio e opportuno che l’Italia andasse il prima possibile al voto, e se il voto non fosse risolutivo, com’è accaduto in Spagna o in Grecia, allora si torni ancora alle urne, fin quando non emerge qualcosa di solido.

In democrazia gli elettori devono prendersi la responsabilità di quello che accade, altrimenti come spesso succede in Italia, nessuno è responsabile di niente, e quindi niente accade e tutto va lentamente alla malora.