C’è qualcosa di “surreale” nel modo in cui il Pd sta vivendo l’alleanza con il M5s. Addirittura nelle dichiarazioni pubbliche del capodelegazione, Dario Franceschini, e del segretario nazionale, Nicola Zingaretti, si ipotizza di potersi presentare in alleanze organiche nelle prossime elezioni regionali e poi in quelle politiche. Parlano della coalizione giallo-rossa come se il Pd fosse il Pci alleato con un gruppo di “indipendenti di sinistra”. Anche autorevoli opinionisti del Corriere della Sera e di Repubblica stanno dipingendo il M5s come un gruppo di “reduci” del ’68 che con la coda tra le gambe rientra nel “fronte” europeista e antisovranista.



Non ci si rende conto cioè che il M5s si è alleato con il Pd solo perché contrario a elezioni anticipate che con l’attuale legge elettorale avrebbero visto vincente il centrodestra a trazione leghista.

Ma le ragioni dell’alleanza finiscono qui: non è un “blocco storico” antifascista, europeista e riformista.



Il Pd non si rende minimamente conto che è al governo non con un “blocco storico”, ma con una “bomba a orologeria”. E cioè nel momento in cui entrerà in vigore la legge di riduzione del numero dei parlamentari si aprirà automaticamente la botola delle elezioni anticipate. Certamente bisognerà aspettare il referendum confermativo che si svolgerà comunque entro il prossimo 2020.

Non c’è bisogno di essere politologi per prevedere che quando scatterà l’entrata in vigore della riduzione dei parlamentari la pressione nazionale sarà per sostituire immediatamente un Parlamento “esagerato” e ormai fuori dalla Costituzione. È ovvio che Salvini monterà un maxi-tassametro di fronte alle Camere in cui conterà i “costi” della “casta” del Parlamento sovrannumero giorno dopo giorno.



A loro volta i 5 Stelle non solo non resisteranno alla concorrenza leghista, ma avranno tutto l’interesse ad andare all’incasso di una legge che è stata il loro principale “cavallo di battaglia”.

L’argomento di tenere ancora in piedi il Parlamento sovrannumero per poter rieleggere nel 2022 Sergio Mattarella o comunque un Pd al Quirinale è un argomento importante per il Pd, ma di nullo interesse per il M5s.

Per Grillo e Casaleggio è importante solo che sia modificata la legge elettorale in senso proporzionale.

Il loro partito-movimento non ha ormai più con ambizioni di “vocazione maggioritaria”. Puntano a essere – nel ripristino del proporzionale – “ago della bilancia”: un gruppo del 20/25 per cento che potrà scegliere se allearsi con Salvini o con la sinistra avendo la guida della coalizione e rimanendo a Palazzo Chigi.

In questo senso l’ex comico e l’azienda Casaleggio coltivano sia Conte sia Di Maio, a seconda che si debba continuare nel nuovo Parlamento “ridotto” l’alleanza con il Pd oppure tornare a quella con la Lega. E infatti Salvini attacca violentemente Conte, ma mantiene i toni bassi con Di Maio che si è accampato alla Farnesina.

La proposta di Franceschini e Zingaretti di un’alleanza alle regionali non prende in considerazione il fatto che il M5s non ha mai ritenuto le amministrative un vero “terreno di gioco”. Anzi, per i 5 Stelle la guida dei comuni di Roma e Torino è stata un affare controproducente e comunque il “MoVimento” vuole mantenere un’identità essenzialmente antagonista. E infatti la replica di M5s all’offerta Pd di alleanza alle prossime regionali è stata immediatamente negativa.

Per quanto riguarda l’alleanza politica, i fatti ci diranno se Grillo e Casaleggio siano la nuova affidabile e salvifica componente del fronte europeista e antifascista e non invece una bomba pronta a scoppiare.