In un governo di grande coalizione convivono gli opposti. E vince chi detta la linea, anzi chi da l’impressione di riuscire a dare la propria impronta alla linea d’azione dell’esecutivo. E dopo 88 giorni è il centrodestra a trazione salviniana a sembrare in vantaggio. A pagare è l’aver approfittato dello sbandamento dell’asse giallorosso, scegliendo di cavalcare l’ineluttabile, cioè la spinta per le riaperture. Pd e grillini, al contrario, sembrano combattere una battaglia di retroguardia, difendendo a oltranza il principio di precauzione.



Sia chiaro, non è che Draghi si sia iscritto al Carroccio, anzi. Draghi è il vero dominus del governo, e decide tempi, modi e contenuti. Ma sul fronte dell’allentamento delle misure anti-Covid non poteva che lavorare per il riavvio dell’economia, pur con tutte le cautele del caso. Il miglior ristoro è che le imprese tornino a lavorare, è stato il mantra di Palazzo Chigi. Non inganni, quindi, il rinvio a lunedì della “cabina di regia” politica, chiamata a pronunciarsi sull’allentamento del coprifuoco. La strada è segnata, si tratta solo di una concessione alla prudenza. Non a caso nell’ordine del giorno è stato inserito il turismo, settore capace di produrre il 12% del Pil nazionale, essenziale per la ripresa economica che serve al paese.



Da questo duello su un’ora in meno di coprifuoco (come minimo) Salvini rischia di uscire vincitore, insieme al resto del centrodestra di governo e a Italia viva, che ha scelto sul punto la barricata dell’Italia che produce. Pur di difendere Speranza e le scelte ereditate dal governo Conte 2, i giallorossi sono sembrati scollegati dalla realtà dell’economia.

Non che i due blocchi siano monolitici, ma Pd e M5s sembrano in difficoltà maggiore. Il tavolo dei responsabili enti locali del centrodestra, infatti, ha partorito segnali d’intesa, nonostante la concorrenza senza esclusione di colpi fra Salvini e la Meloni. Alla fine nessuno dubita che i candidati sindaci alle elezioni amministrative di ottobre saranno unitari. Non sarà facile, ma saranno forse anche i più competitivi, come Albertini a Milano, tornato all’improvviso il nome favorito. Troppo forte la tentazione di ricacciare in gola al responsabile enti locali del Pd, l’ex ministro Francesco Boccia, la previsione di un facile 4-1 nelle maggiori città a favore dei dem e dei loro alleati.



Proprio nella partita della alleanze per i comuni l’asse giallorosso ha dimostrato di essere tutt’altro che un asse solido. Tutta colpa dell’ostinazione di Virginia Raggi, che ha costretto un partito allo sbando, il Movimento 5 Stelle, a imporsi su un partito con una leadership appannata. La Raggi ha imposto che Zingaretti rimanesse alla Regione Lazio, aprendosi la via a una possibilità di andare al ballottaggio, visto lo scarso appeal dell’ex ministro Gualtieri. La diffidenza di due basi che si sono fatte la guerra per anni, grillini e dem, così come dei rispettivi apparati, stanno rendendo difficilissime le intese che solo un mese fa sembravano certe. Forse solo a Napoli ci sarà una candidatura unitaria al primo turno, ma non è detto neppure lì. Di sicuro c’è solo l’intesa già siglata a Varese.

Le amministrative di ottobre fungeranno da primarie in entrambi i campi, fra Salvini e Meloni a destra e fra Letta e Conte a sinistra, dal momento che quest’ultimo non ha affatto archiviato l’idea di essere il candidato premier dell’area che lo aveva sostenuto per un anno e mezzo a Palazzo Chigi. Dipenderà, in entrambi i casi, da chi avrà il risultato migliore. E visto che i sondaggi danno i quattro partiti nello spazio di 6/7 punti percentuali appena, tutto è possibile.

Di questo scenario nervoso Draghi non potrà non tenere conto. Le tensioni all’interno della maggioranza che lo sostiene sono destinate a crescere man mano che si avvicinerà alla scadenza elettorale, prova generale delle politiche e del peso specifico dei partiti in vista dell’elezione a fine gennaio del successore di Mattarella al Quirinale. La soluzione il premier ce l’ha in tasca: continuare dritto per la sua strada, sfornando riforme a raffica. Lo richiedono gli impegni assunti con l’Europa e la necessità di non dare spazio alle beghe di palazzo. I partiti sono avvisati: anche il summit istituzionale di ieri al Quirinale fra Mattarella, Casellati e Fico è un segnale inequivocabile: bisogna correre, ci sono tantissime leggi da approvare. Nessuno può davvero pensare di mettersi di traverso senza pagarne le conseguenze. 

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