La crisi del governo Conte sembra davvero allontanarsi, almeno per ora. I Cinque Stelle, che hanno sofferto le maggiori fibrillazioni interne dopo la sconfitta alle elezioni europee, hanno retto alla sconfitta e la Lega sta pensando bene di guadagnare tempo. I ballottaggi di domani, con il M5s presente soltanto a Campobasso, non modificheranno il quadro. Per ora si va avanti.



Adesso la palla è in mano a Matteo Salvini, mentre Luigi Di Maio attende le mosse del leader leghista. I lumbard sono andati benissimo in Italia ma malissimo in Europa. Da mesi Salvini ripeteva che i problemi della nostra economia si sarebbero risolti in un batter d’occhio dopo la calata dei sovranisti a Bruxelles, che avrebbero determinato un cambiamento delle austere politiche degli ultimi anni. Se l’anno scorso l’Italia ha fatto una manovra in deficit che non ha fatto ripartire il Pil, e se a Natale si rischia un pesante aumento dell’Iva, i guai sarebbero stati evitati con l’ascesa al potere degli anti-europeisti e anti-rigoristi in Europa.



Non è andata così. Non soltanto il fronte sovranista non ha sfondato il 26 maggio, ma il giorno dopo Salvini è stato abbandonato da una grossa fetta di quelli che credeva alleati di ferro, a cominciare dall’ungherese Orbán, il quale preferisce restare nell’alveo del Ppe piuttosto che finire all’opposizione dove non conterebbe più nulla. Il leader leghista è dunque rimasto con nulla in pugno: una vittoria in Italia che però non modifica i numeri parlamentari su cui si regge la maggioranza gialloverde, una sconfitta in Europa che priva il vicepremier di interlocutori e di potere contrattuale con i 28.



La priorità è quindi raccogliere le idee e decidere la strategia per i prossimi mesi, in particolare nel campo dell’economia e dei conti pubblici. È qui che Salvini è atteso al varco: dai mercati internazionali che lucrano sullo spread e fanno aumentare il conto degli interessi che dobbiamo pagare a chi compra i nostri rischiosi titoli pubblici; dagli imprenditori del Nord, che trascinano quel po’ che si muove nel settore produttivo, e chiedono tagli di tasse e autonomia dopo avere dato nuovamente fiducia alla Lega; dagli alleati grillini, i quali non attendono che un passo falso dei leghisti per addossare loro le responsabilità di un’eventuale rottura; dagli ex alleati del centrodestra, ansiosi di capire se il Capitano tornerà all’ovile o tirerà dritto in cerca di un successo solitario, al massimo con Giorgia Meloni in appoggio. E anche dal presidente Mattarella, che disperatamente cerca di decifrare che cosa passa per la testa di Salvini, e non ci riesce.

Al momento la mente salviniana resta impenetrabile. Negli ultimi giorni il vicepremier ha incontrato Berlusconi, ha preparato un prossimo viaggio negli Usa, ha svelato di avere a casa 60 milioni di bocche da sfamare, ha negato di ambire a conquistare poltrone mentre in realtà si sta muovendo per ottenere un riequilibrio a suo favore all’interno dell’esecutivo. E non basterà nominare il successore di Paolo Savona al ministero delle Politiche comunitarie.

Gli scenari futuri sono al vaglio dei sondaggisti. Salvini sta facendo testare i possibili esiti di varie alternative: un listone con dentro tutti quelli che ci stanno in stile Trump, che vorrebbe chiamare Prima l’Italia (sull’esempio del fortunato America First del presidente Usa); un’accoppiata con Fratelli D’Italia (senza il Cav) che potrebbe raggiungere il consenso necessario a ottenere la maggioranza in Parlamento; infine, una corsa solitaria per tenersi le mani libere sulle alleanze da scegliere dopo il voto. Le idee non sono chiarissime: meglio allora prendere tempo e dare ancora un po’ d’ossigeno a Giuseppe Conte.