Metà parlamento è già in ferie (la Camera, per ben 38 giorni), eppure la temperatura della politica rimane incandescente. Si apre una di quelle settimane che i commentatori con scarsa fantasia definiscono “decisiva per le sorti del governo”, l’ennesima in verità. Il match “Papeete Beach contro resto del mondo” potrebbe essere stato solo l’antipasto di giornate convulse intorno alle ultime due fatiche che attendono i senatori prima della fuga sotto l’ombrellone, il voto (di fiducia, è scontato) sul decreto sicurezza bis e quello sulla Tav Torino-Lione.
La domanda da porsi è sempre la stessa: rischia davvero il governo? In un paese normale, in una fase normale della politica un tasso di litigiosità come quello che leghisti e grillini mostrano avrebbe portato da tempo alla fine dell’esperienza giallo-verde. Invece il governo non è caduto, non cade, e probabilmente non cadrà, almeno nel breve periodo.
Da tenere d’occhio però è la tenuta dei 5 Stelle, più che la quotidiana zuffa fra i due vicepremier. Le dimissioni dai suoi incarichi di Massimo Bugani, personaggio poco conosciuto al grande pubblico, ma figura chiave del sistema Casaleggio, rende evidente il clima di scontro tutti contro tutti che si respira all’interno del Movimento. Con Alessandro Di Battista sempre più scatenato nei toni anti-Salvini e Beppe Grillo sempre più distante dalla sua creatura, la vera posta in gioco è la leadership stessa di Luigi Di Maio. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo assicura che sul decreto sicurezza bis i voti non mancheranno, ma la questione andrà verificata sul campo.
Al Senato la coalizione giallo-verde arriva solo quattro voti al di sopra della maggioranza assoluta, quando i malpancisti grillini sono almeno cinque, se non qualcuno in più. A salvare il soldato Conte potrebbe arrivare un gioco incrociato di uscite dall’aula o di astensioni da parte dei rappresentanti di Fratelli d’Italia o di Forza Italia, che certo non possono opporsi al decreto sicurezza bis. A quel punto la lacerazione sarebbe tutta interna al Movimento. E se lo stesso copione si replicasse peggiorato sulla Tav, la questione sarebbe molto seria e molto politica. Se il sì alla Torino-Lione passasse con i voti di Lega, Pd, berlusconiani e uomini della Meloni, i 5 Stelle avrebbero salvato la faccia nei confronti dei no Tav, ma dovrebbero davvero domandarsi che senso ha proseguire in una collaborazione di governo dove troppi sono i punti di totale dissenso con quello che dovrebbe essere l’alleato.
Matteo Salvini proprio con le smargiassate dal bagnasciuga di Milano Marittima è sembrato perfettamente conscio della debolezza del partner di governo. Se i pentastellati si spaccheranno, lui non verserà una lacrima. Se non succederà, lui avrà vinto due battaglie. Può apparire paradossale, ma il suo è uno schema win-win. Dopo essere sembrato in difficoltà all’indomani del grande successo alle europee di fine maggio e dopo aver subito una netta sconfitta nella partita delle nomine fra Strasburgo e Bruxelles, ha saputo recuperare il centro della scena. Chi sperava di vederlo tranquillizzarsi nel momento in cui si chiudevano le finestre per un eventuale voto anticipato a fine settembre è rimasto deluso: Salvini sembra intenzionato a utilizzare come una clava lo spauracchio di una crisi di governo da qui a fine anno per imporre le proprie priorità nella sessione di bilancio.
Questo scenario implica una navigazione tempestosa per i prossimi mesi, esattamente come per i mesi che abbiamo alle spalle. E potrebbe continuare a lungo, a meno che davvero non siano i 5 Stelle a implodere. Solo in questo modo si giustifica l’ostinazione di Salvini a voler andare avanti con il governo Conte, contro il parere di tutti i suoi ministri. Un’ostinazione che potrebbe venire meno solo quando il ministro dell’Interno avesse la certezza del ricorso al voto, data la polverizzazione dell’alleato.
Riduzione delle tasse, evitare l’aumento dell’Iva, autonomia differenziata delle Regioni, riforma della giustizia, nomina del commissario europeo sono solo alcuni dei nodi da sciogliere nei prossimi mesi. Un Salvini che sa di valere oltre il doppio della sua attuale consistenza parlamentare giocherà tutte queste partite con la grinta di chi sa di essere nella posizione di vincere comunque vada a finire. Fermarlo, o quantomeno cercare di arginarlo, per i 5 Stelle e per le opposizioni, non sarà affatto facile.