Nel 2017 Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, pubblicava per i tipi della prestigiosa rivista un testo fondamentale per comprendere la trasformazione culturale che fa da sfondo a una vicenda geopolitica essenziale per capire la situazione italiana: “Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede”. Un testo essenziale per capire come si sia giunti alla firma – il 22 settembre 2018 – dell’accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, ancor oggi secretato e sconosciuto all’opinione pubblica, così come sconosciuta, purtroppo, all’opinione pubblica è la storia travagliata dei rapporti diplomatici tra Vaticano e Rpc, interrottisi nel 1951 e riapertisi di fatto solo nel 2014, quando un dialogo iniziò nuovamente in forma pressoché ininterrotta e via via più rapida e intensa, giungendo a influenzare più profondamente di quanto non si pensi la stessa vicenda italico-governativa.
Quando nel 1957 la Rpc istituì la Chiesa patriottica che nominava i vescovi senza l’ approvazione della Santa Sede, mentre perseguitava e perseguita la Chiesa sotterranea dei nuovi martiri cinesi, le proteste vaticane furono durissime e Giovanni Paolo II, il 1° ottobre 2000, proclamò martiri 120 cattolici cinesi uccisi dai Boxer. Il governo di Pechino fece di tutto, allora, per screditarli come “nemici del popolo cinese” e “strumenti dell’imperialismo occidentale”, proibendo di festeggiarli. Ma Hong Kong non si piegò e la cattedrale si gremì per una messa solenne in onore dei martiri.
Non a caso le più alte autorità pastorali di quella strategica città hanno sempre fatto resistenza nei confronti delle relazioni intervenute dopo le dimissioni di papa Benedetto XVI tra Rpc e Santa Sede. L’accordo stipulato recentemente si fonda sulla libertà del Governo cinese di proporre i vescovi e della Santa Sede di scegliere coloro che ritiene siano idonei al ruolo pastorale. L’autorità immensa di cui ancor oggi la Santa Sede e il Romano Pontefice godono nel mondo sono in tal modo sottoposti al rischio di porsi di fatto al servizio delle ambizioni egemoniche e quindi anche culturali cinesi.
Si tratta di una parabola ben diversa da quella descritta, per esempio, nell’indimenticabile testo di Agostino Casaroli Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti (1963-1989). Un volume che si apriva con un altrettanto preziosa introduzione del cardinale Achille Silvestrini e uno scritto fondamentale di Carlo Felice Casula. Oggi la situazione pare avviarsi verso una diversa via da quella tracciata, prima ancora che da Casaroli, dal grande cardinale Celso Costantini che per primo aprì già nel periodo tra le due guerre la via a un’opera missionaria in Cina che ha lasciato tracce indelebili nella storia della pietà missionaria e della profezia della conversione. Oggi la gerarchia pastorale di Hong Kong ha levato la sua voce contro l’accordo.
Perché evocare questo problema in occasione di una rapida riflessione sul Governo Conte 2? Ma perché il cuore dell’elaborazione dell’intesa che ha dato vita all’attuale accordo “pastorale” non risiede solo nella Segreteria di Stato vaticana, ma anche nell’azione compiuta da coloro che si sono succeduti al governo di quella benefica istituzione creata dal cardinale Segretario di Stato Domenico Tardini e poi per decenni diretta con sapiente benevolenza da Achille Silvestrini, prefetto delle Chiese Orientali. Giuseppe Conte è stato una figura importante nell’azione di Villa Nazareth e la sua presenza nei due governi che si sono recentemente succeduti in Italia, sempre sotta la sua presidenza, illumina di una luce molto interessante il profilo culturale sia del Governo, sia della nuova politica “pastorale” vaticana, come dimostrano iniziative come il Sinodo sull’Amazzonia e le recenti elaborazioni culturali della Conferenza episcopale.
Alcuni hanno parlato di nuovo “cesaropapismo”, ma anche se non si vuole inoltrarsi sulla differenza tra teologia politica e politica della teologia, val la pena di considerare che il Governo ha intrapreso una strada parallela in merito ai rapporti economici e geostrategici con la Cina. Questo è l’oggetto del contendere con gli Usa, come ben dimostra la riservata (ma non ininfluente sul piano diplomatico) visita del Segretario di Stato americano Mike Pompeo in Vaticano (che ha avuto come oggetto proprio la questione cinese).
Non solo nei confronti della Santa Sede, ma altresì sulla collocazione internazionale del Governo testé costituitosi gli Usa non possono non essere preoccupati dello straordinario azzardo geostrategico compiuto prima dal governo Conte 1 e poi dalla sua replica, che ha mutato la composizione dei fattori politico-partitici ma non i risultati possibili, non riformulando i termini di un accordo che segna un pericoloso cambiamento della politica estera italiana.
La stessa polemica in corso sui dazi non è stata affrontata in modo serio e veritiero. Certo, i temi del Parmigiano sono importanti, ma l’aver sottaciuto che il conflitto sul commercio non è tra Italia e Usa, ma tra Ue e Usa e che inizia nel 2004 con il ricorso degli Usa alla Wto per gli aiuti di stato europei al progetto Airbus danneggiando gli interessi del mondo Boeing e dell’industria nordamericana, industria avionica e della difesa e quindi delle telecomunicazioni e dell’elettronica per la difesa. Senza dimenticare il ruolo cruciale del dieselgate e delle pulsioni anti-industrialiste insite nel progetto della cosiddetta auto elettrica (sic!).
Il peso degli interessi francesi e del Regno Unito in Italia sta non a caso crescendo con una velocità imprevista che non potrà non riflettersi sull’azione del Governo. Nonostante le sagge considerazioni del ministro Gualtieri nel corso dell’incontro informale dell’Ecofin recentemente svoltosi e in cui egli ha impetrato un cambiamento della politica economica europea, come del resto fanno tutti gli interlocutori europei anche in Germania, preoccupati del declino industriale e sociale dell’Europa, non solo dell’Italia, per la prevalenza della politica di stabilizzazione che è di ostacolo formidabile all’elaborazione di una politica della crescita e degli investimenti.
Il Governo difetta della capacità di prospettare una politica economica di crescita invece che provvedimenti di stabilizzazione: l’Iva è certo un tema importante, ma se non è collegato a una politica di investimenti e di creazione di nuove imprese e di sostegno delle esistenti non può provocare né l’innovazione competitiva, né l’aumento del mercato interno. Questione quest’ultima indispensabile per riavviare la crescita e sconfiggere la povertà in Italia. Come affermò Luigi Campiglio in merito a una proposta vagheggiata dal Governo in merito alla privatizzazione dei pochi rimanenti italici asset: “Privatizzare le migliori imprese italiane come raccomanda il Fondo monetario internazionale non produrrebbe affatto conseguenze positive per la nostra economia. Il nostro principale problema è infatti che l’incremento della domanda interna va tutto a vantaggio di prodotti d’importazione… Si darà qualche soldo allo Stato, ma le aziende che producono per la domanda interna diventano straniere. L’Italia quindi ne beneficerà soltanto in minima parte”.
La questione è molto chiara: senza tutte le politiche economiche ancora importanti per la creazione di occupazione sostenendo le imprese esistenti, in primo luogo le piccole, le artigiane e le medie, non si potrà uscire da questa depressione che si profila molto pesante. La deflazione secolare rischia di tramutarsi da stagnazione in recessione e opporsi è possibile solo facendo comprendere che la resilienza italiana è la sola via che oggi deve intraprendere tutta l’Europa, la Germania e la Francia in primis. L’interesse nazionale, se si pone al centro l’ampliamento del mercato interno, l’occupazione, la lotta alla povertà e alla disgregazione sociale è l’interesse di tutta l’Europa al di là delle differenze di produttività del lavoro, di innovazione e di collocazione nelle catene del valore delle supply chain internazionali che sono fondate, più che sugli Stati, sulle imprese e sulle loro reti.
Al Governo Conte 2 si richiede quindi un cambiamento di rotta profondo a cominciare dalla politica estera, riaffermando l’alleanza con gli Usa e respingendo l’idea che sia possibile una crescita europea riproponendo continuamente la divisione geostrategica e geoeconomica iniziata nel 2003 anche per difetto della politica unipolarista degli Usa, che condusse alla divisione tra Francia e Germania, da un lato, e Stati Uniti dall’altro.
Le prospettive del Governo, soprattutto in politica estera, non sono solo insufficienti, ma preoccupanti. Sciogliere i legami dipendenti con la Cina, riaffermare l’interesse prevalente del Mediterraneo per difendere le nostre industrie energetiche e infine uscire dalla confusione sulla cosiddetta economia verde che mortifica gli interessi industriali italiani (mentre l’industria italiana è la più sostenibile al mondo, non solo nel tessuto energetico e chimico), e comprendere che se i rifiuti sono essenziali per la realizzazione dell’economia circolare è la trasformazione della produzione con la riciclabilità dei beni intermedi del ciclo produttivo che occorre realizzare.
La politica dei rifiuti inoltre deve vedere un Governo consapevole che solo la tecnologia con i termovalorizzatori può risolvere il problema con un vantaggio per il debito estero, mai considerato strategico a fronte delle spese enormi sostenute per il fatto che la componente magico-esoterica del Governo (5 Stelle e simili) continua a imporre all’economia e alla società italiana una degradazione della qualità della vita sempre più pesante e che falsifica tutte le ideologie della decrescita felice, non solo purtroppo nel cuore di questo nuovo Governo che sta abbandonando la produzione e il lavoro italiani.
Dalla politica estera si giunge alla politica industriale che non è solo nazionale, ma sempre continentale e mondiale per l’inserzione italiana nelle filiere industriali e dei servizi alle imprese nel mondo.