Per il revival della “scuola di Bologna” si è scomodato il vaticanist-in-chief John Allen. “L’amicizia fra il cardinale e il politico cementa il ritorno della Bologna School”: il cardinale di cui ha voluto scrivere Allen è l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, successore in linea retta di Giacomo Lercaro, il fondatore della “scuola”.
Il politico era David Sassoli, il Presidente del Parlamento europeo scomparso in carica all’inizio dell’anno: continuatore di spicco della tradizione politico-culturale del cosiddetto “cattolicesimo democratico” di stampo bolognese. Zuppi – compagno di liceo di Sassoli – ne ha presieduto le esequie di Stato a Roma. Come ha notato la scrupolosa penna di Allen, in Santa Maria degli Angeli erano presenti il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella (poco dopo confermato per un secondo mandato), il premier Mario Draghi, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen (esponente della Cdu tedesca) oltre “alla virtuale struttura di potere dell’intero continente”.
Nella newsanalysis di Allen non manca nulla. C’è il richiamo storico alle origini della “scuola”: anzitutto quelle ecclesiali incarnate dal cardinale Lercaro, icona del Concilio, candidato forte alla successione di papa Giovanni XXIII, subito andato in appoggio decisivo all’elezione di Paolo VI; protagonista infine di dimissioni drammatiche per le posizioni di pacifismo “non negoziabile” durante la guerra del Vietnam. Ma la “scuola di Bologna” – rammenta Cruxnow – ha avuto anche una radice squisitamente politica in Giuseppe Dossetti: il leader dei “professorini ” della sinistra Dc post-bellica, poi divenuto sacerdote e ritiratosi a San Luca (mentre Amintore Fanfani ne fu il principale continuatore a Roma). Il “caposcuola” forse più duraturo citato da Allen è stato però quello culturale: lo storico Giuseppe Alberigo, primo custode delle memorie del Vaticano II.
Se Zuppi sta trasparentemente rinfrescando il carisma di Lercaro, se lo storico e opinionista Alberto Melloni ha dato futuro all’impegno intellettuale di Alberigo, Allen indica il leader politico della rinnovata “scuola di Bologna” in Andrea Riccardi: il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il cui nome era stato in un primo tempo accreditato come possibile presidente della Repubblica dallo stesso segretario del Pd, Enrico Letta. Ma il medesimo Mattarella – non diversamente da Sassoli – può essere considerato a ragione un “alumnus” della “scuola di Bologna”: nel suo discorso di giuramento dopo la rielezione sono chiaramente rintracciabili i temi di fondo di un”cattolicesimo democratico” che rivendica da sempre l’interpretazione autentica del riformismo conciliare. E non solo sul piano religioso e culturale: Romano Prodi – puro prodotto della “scuola di Bologna” – è stato due volte Premier nella Seconda Repubblica e quindi Presidente della Commissione Ue.
Neppure il vaticanista americano si spinge a pronosticare in dettaglio sviluppi ed esiti possibili del “comeback” della scuola di Bologna. Da osservatore giornalistico di cose ecclesiali non ha potuto però non registrare che Zuppi (cresciuto in Sant’Egidio) è considerato a un tempo candidato credibile alla successione di papa Francesco e – in termini più stretti – come possibile nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana: chiamata a decidere in primavera il successore del cardinale Gualtiero Bassetti.
Sul piano politico – almeno quello interno italiano – la conferma di Mattarella al Quirinale appare in qualche modo figlia di un rilancio del pensiero “bolognese” (in forte sintonia con il magistero pastorale del Pontefice) e della rivitalizzazione dei circoli culturali e mediatici della “scuola”. È però presto per capire in che misura quest’ultima sarà incisiva sul riassetto dello schieramento politico in corso in Italia.
La “scuola di Bologna” si è mossa storicamente lungo due direttrici strutturali interconnesse nella Prima repubblica italiana: la centralità della Chiesa “dei vescovi” e delle strutture ecclesiali “ufficiali” organizzate attorno alle diocesi; e la parallela centralità dei partiti, fra i quali la Dc era il riferimento stretto per “l’unità dei cattolici in politica”. Entrambe le dinamiche sono entrate in crisi per un lungo trentennio. I pontificati di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno dato spazio alla vitalità dei movimenti ecclesiali: che – non solo in Italia – hanno reinterpretato anche l’impegno politico dei cattolici al di fuori dei confini e dalle prassi tradizionali del “partito cattolico” (di “un” partito” cattolico auto-nominato o riconosciuto come tale dalle gerarchie ecclesiali).
La stessa “Repubblica dei partiti” è sopravvissuta a fatica nella Seconda Repubblica: non è mai stata “partitica” la leadership personale di Silvio Berlusconi; né la singolare affermazione di M5S – letteralmente un “movimento” antipartitico – tuttora prima forza politica nel Parlamento italiano. Lo stesso Prodi – leader “cattolico democratico” di vecchia scuola Dc – si è imposto per due volte in elezioni politiche maggioritarie, ma per due volte ha dovuto gettare la spugna ancor prima della metà della legislatura.
Sia nel 1996 che nel 2006 il professore bolognese ha peraltro saputo far leva su una classica categorie politico-culturale della “scuola bolognese”, sia sul versante religioso che su quello politico: la volontà/capacità di confronto/dialogo con settori politico/sociali diversi da quelli cattolici su agende “negoziabili”, in una logica elettorale essenzialmente proporzionalista (“Mattarellum”). La lotta alle diseguaglianze socio-economiche (la “scelta per i poveri” della stagione conciliare), l’attenzione per le tematiche eco-ambientali, l’approccio programmatico dell’inclusione in alternativa a quello dell’identità valoriale, l’apertura a una post-democrazia sganciata da “occidentalismi” considerati datati in ottica geopolitica sono sono alcuni dei fronti su cui la “scuola di Bologna” dispone certamente di un “manifesto” dettagliato e completo: sia in campo politico – non solo in Italia – che ecclesiale.
Le verifiche – che certamente nelle democrazie politiche passano attraverso il voto – non si faranno attendere.
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