La politica non va in quarantena. Gualtieri (con Amendola) ha preso il posto di Franceschini nei panni del ministro Pd più fedele a palazzo Chigi che al Nazareno. Per Fabrizio d’Esposito, notista politico del Fatto Quotidiano, Zingaretti sa che la partita del Mes è perduta, ma fa ancora finta di giocare per tenere buono il partito. Intanto l’asse Conte-Di Maio si è consolidato, e gli stati generali sanciranno la forza del duo governista Conte-Di Maio al tavolo delle trattative col Pd. Non solo rispetto al patto di legislatura, ma anche alle comunali del prossimo anno, dove la partita di Roma è decisiva.



Il patto di legislatura è una sconfitta di Conte?

Da tempo Zingaretti aveva chiesto una sorta di tagliando al patto di governo. Conte è uscito rafforzato dal varo dell’ultimo Dpcm e ha accolto la richiesta di Zingaretti.

Sicuro che Conte sia più forte?

Sì, per due motivi. Il primo è che al lockdown totale ha preferito una ricetta soft basata sui dati dei contagi e i coprifuoco locali. Il secondo è aver guadagnato il sostegno di Gualtieri sul Mes.



Non è un mistero che il Pd voglia un rimpasto di governo e il momento buono potrebbe essere proprio il patto di legislatura. Una previsione?

Qualcosa nella squadra di governo dovrà cambiare, anche se Conte è allergico alla parola rimpasto. Non so dire se ci sarà un impegno diretto del segretario del Pd o se Di Maio riuscirà a fare il vicepremier. Vedremo.

Da che cosa dipende l’esito di questo passaggio?

Bisognerà vedere come andranno gli Stati generali dei 5 Stelle, e quanto esce rafforzato l’asse governista Conte-Di Maio. Da questo risultato dipende la forza con cui i due si siederanno al tavolo del patto di legislatura.



Previa consultazione con Roberto Fico.

Fico continuerà a fare il presidente della Camera.

Non si candida a sindaco di Napoli?

È prematuro dirlo, occorre prima vedere come si risolve la partita su Roma.

Torniamo a Gualtieri. Perché ha cambiato posizione sul Mes?

Realismo politico: vuol dire che il Mes avrebbe fatto saltare il governo. Tutti a scrivere per mesi che M5s avrebbe cambiato posizione; non era vero. C’è stato anche uno scambio: Gualtieri ha potuto vendere Montepaschi Mps senza mal di pancia grillini. Adesso Gualtieri, e in silenzio anche Amendola, sono i più fedeli alleati Pd di Conte nel governo.

E quando sul Mes Conte e il Pd arriveranno al dunque?

Non ci si arriverà mai. Sul Mes non ci sarà mai nessun voto parlamentare perché il rischio è troppo alto.

Bisogna dirlo a Zingaretti.

Zingaretti difende ancora il Mes solo per tenere a bada i suoi, ma sa che la partita del Fondo salva-Stati è persa.

Mes a parte, fino a che punto Zingaretti al tavolo del patto di legislatura potrà alzare la voce contro Conte – e viceversa?

Solo fino a un certo punto, perché l’alternativa è la rottura. Nei mesi a venire saremo sempre fermi una logica di penultimatum. Se Zingaretti dovesse accorgersi che da questo governo non guadagna più e non si schioda dal 20%…

Ecco. A quel punto?

A quel punto, la successione a Mattarella è un tema così importante da stoppare tutte le voglie represse di rompere. Zingaretti è uscito vittorioso dalle regionali, sa bene che a livello locale l’alleanza con M5s può dargli il governo di qualche altra città. Non è suo interesse mandare all’aria tutto.

E la vocazione maggioritaria?

Un miraggio. Il Pd oggi è fermo al 20% e non si muove da lì. Gli mancano almeno dai 15 ai 20 punti per realizzare la vocazione maggioritaria. Non ci riuscì nemmeno Veltroni, che si fermò a un ragguardevole 34% quando perse le elezioni contro Berlusconi.

Ma allora nell’alleanza organica che si va abbozzando tra Pd e M5s chi guadagna e chi perde?

Ne guadagna la coalizione di centrosinistra: non è detto che debba essere alleanza organica, per cominciare può essere solo tattica.

Che significa?

Se sulle maggiori città al voto, Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli si fa una discussione seria, senza veti e trattative estenuanti come è stato in Liguria per Ferruccio Sansa, e si individua un candidato politico forte, le premesse del centrosinistra ci sono.

Calenda si è candidato a sindaco di Roma ma il Pd pretende che affronti le primarie. Calenda non ci pensa nemmeno. “Se sceglierà lo strappo individuale, buona fortuna” ha detto Bettini. Come si risolve la situazione?

È tutto molto semplice. La storia delle primarie è una barzelletta. Prima Zingaretti ha fatto balenare a Calenda di poter essere il candidato del Pd e i sondaggi commissionati lo davano direttamente al ballottaggio, attribuendogli più voti di un ipotetico candidato di centrosinistra da solo e della stessa Raggi.

Dopodiché?

Poi Zingaretti ha visto che dall’altra parte, in M5s, non si muoveva nulla e che Di Maio rimaneva saldo sulla Raggi. E adesso bisogna aspettare.

Aspettare che cosa?

Bisognerà capire nel puzzle dei grandi comuni che vanno al voto se ci sarà una trattativa complessiva e come ci si accorderà.

Dunque il Pd non è pronto a sostenere Calenda.

No, perché Calenda può spaccare l’elettorato del Pd e Zingaretti lo sa. Zingaretti ha capito che se Pd e M5s trovano a Roma un candidato comune forte sbancano già al primo turno, perché il centrodestra a Roma non esiste.

Possibile?

A Roma vincerebbe soltanto la Meloni. Nei sondaggi che Calenda ha fatto commissionare, la Meloni è data al 42%, Giletti al 31% e Tajani al 30%.

Vuol dire che Calenda è un kamikaze?

No, vuol dire che gioca a sparigliare per avere visibilità politica. È l’unico ruolo che possono avere lui e Renzi: Calenda vale il 2%, Renzi il 3. Percentuali preziose in una logica maggioritaria, ma in una logica proporzionale il loro imperativo è quello di sopravvivere. Calenda ha fatto il suo gioco: ha fatto capire di essere forte anche da solo con oltre il 20% e di poter incunearsi nell’elettorato Pd e M5s creando loro dei guai.

Cosa significa?

Se il Pd presenta un candidato debole e dall’altra parte c’è la Raggi, il centrosinistra rischia di assistere ad un ballottaggio centrodestra-Calenda.

Dunque la candidatura unitaria Pd-M5s è tutta da costruire.

Sì. Il nodo va affrontato e sciolto ad un tavolo in cui si ragiona in una prospettiva più ampia, parlando di tutti i grandi comuni al voto e cercando delle soluzioni comuni. Le premesse potrebbero esserci. Oggi Di Maio ha ritrovato con Conte e Zingaretti un rapporto più civile.

E in questa logica i 5 Stelle potrebbero fare un passo indietro sulla Raggi?

Per saperlo dobbiamo aspettare. Bisognerà attendere la sentenza del processo d’appello sul caso Marra, gli equilibri che scaturiranno dagli stati generali M5s e l’eventuale rimpasto.

(Federico Ferraù)

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