Un quadro politico all’apparenza piatto segna questo ferragosto italiano, perlopiù dominato da mascherine, tamponi e nuove misure per arginare i contagi. Ma Conte non è tranquillo. A preoccuparlo non è il dossier giudiziario – i 200 esposti destinati all’archiviazione da parte della procura di Roma, o l’inchiesta Covid e zone rosse a Bergamo –, semmai il patto M5s-Pd, prova di un indebolimento del ruolo del premier e della necessità, per le forze di maggioranza, di ricompattare il fronte anti-salviniano, in vista delle prossime regionali e dell’ingorgo istituzionale costituito da legge elettorale e referendum sul taglio dei parlamentari. Abbiamo cercato di fare chiarezza con Antonio Pilati, saggista, ex commissario dell’AgCom e già presidente della Fondazione Rosselli. “C’è una questione politica, una strategica e una internazionale” osserva Pilati.



Cominciamo dalla prima.

Questo governo è nato l’anno scorso con l’unica motivazione di bloccare Salvini. Non ha mai avuto un progetto, ma soltanto uno scopo negativo. Anche per questo dopo un anno di vita ha prodotto risultati disastrosi. In più ha creato un piedistallo a Conte.

Perché il capo del Governo si è imposto su Di Maio e Zingaretti?



Perché dalla mancanza di una visione politica dei partiti di maggioranza ha ricavato un grande spazio di manovra, che la pandemia di Covid-19 ha aumentato.

Ha detto “risultati disastrosi”. A cosa si riferisce?

L’incapacità del governo in materia economica è davanti a tutti. Il punto è che questi risultati così carenti non interessano né al Pd né ai 5 Stelle. Li infastidisce piuttosto il fatto che Conte sia diventato il dominus della maggioranza. Da qui il patto, che va visto come il tentativo da parte di M5s e Pd di superare la loro debolezza.

I due partiti tenteranno di stipulare alleanze locali. Sono destinati a diventare un solo partito?



Impossibile dirlo adesso. Conta il fatto che pur essendo da un anno insieme al governo, non hanno elaborato una visione.

Come si spiega?

Essenzialmente per un motivo. M5s è nato come forza di contestazione della “Casta”. Ma la casta, intesa come principale forza di governo, è sempre stata il Pd. I Cinquestelle sono arrivati in Parlamento nel 2013, quando c’era il governo Monti e il Pd dava la linea, poi si sono susseguiti vari governi ispirati dal Pd fino al 2018. Tra le due forze, M5s e Pd, l’opposizione era totale.

E adesso?

Nel 2019 si mettono insieme senza uno straccio di riflessione. Ora cercano di creare le condizioni per fare un’alleanza, ma ciò implica che M5s cambi pelle.

Cosa dovrà diventare?

Una specie di partito di estrema sinistra disposto ad allearsi con il partito della sinistra di governo. Non è una peculiarità italiana.

Che cosa intende?

Mi viene in mente l’esempio di Podemos in Spagna, che ha una consistenza non molto lontana dai 5 Stelle e governa con i socialisti. Ora l’obiettivo di M5s e Pd è dare una base politica all’alleanza. Una prima indicazione verrà dalle elezioni regionali prossime venture.

Veniamo al dato strategico.

L’Italia attraversa la più grave crisi dal dopoguerra. Sembra che M5s e Pd vogliano farcelo dimenticare, ma non è possibile nascondere a lungo la polvere sotto il tappeto.

Dove sta la questione?

Avere una strategia vuol dire capire cosa fare davanti a un cumulo di problemi enormi. Il Pil registra una caduta dell’11-12%, il debito pubblico lieviterà al 180% del Pil. Intorno a noi la situazione internazionale diventa sempre più complessa e difficile, dalla Libia al Libano, dal Mediterraneo orientale ai rapporti con la Cina. Siamo al centro di una grande area di crisi e non abbiamo una linea di difesa degli interessi nazionali.

Questi nodi dove si incontrano?

A settembre, quando riprenderà la vita politica, faranno tutt’uno con l’emergenza economica. Affrontare problemi di tale gravità con un’alleanza che non è un’alleanza è veramente un azzardo.

In questo patto per sopravvivere, qual è l’elemento più debole, M5s o il Pd?

Finora i sacrifici principali li ha fatti il Pd, perché per tenere insieme l’alleanza di governo ha dimenticato la propria storia. È nato come partito a vocazione maggioritaria, adesso vuole il proporzionale e non riesce a ottenerlo. Aveva una vocazione produttivista e vi ha rinunciato. Ha sempre difeso la centralità del Parlamento, dai tempi del Pci a quelli di Berlusconi, e adesso vota il taglio dei parlamentari sulla base di motivazioni anti-casta.

Allora sarà il Pd a diventare grillino.

Ci sono fattori strutturali a impedirlo. Il Pd è un partito organizzato ed è il riferimento primario di forti interessi internazionali.

Qui veniamo al risvolto internazionale della crisi che citava all’inizio?

La cosa più rilevante che ha fatto questo governo è stata quella di presentarsi con il cappello in mano in Europa per chiedere più soldi possibili. Li ha ottenuti, peraltro a debito. Ma adesso l’establishment europeo, che secondo me è stato l’artefice vero della nascita del governo Conte 2, è molto preoccupato.

E perché?

Perché vede che in Italia c’è un gran pullulare di spese che fanno salire il debito. I bonus non aiutano l’economia e la cassa integrazione non può durare in eterno.

Quindi?

È evidente che in vista dei passaggi gravi e difficili dell’autunno 2020 e di tutto il 2021, fino all’elezione del presidente della Repubblica, va costruita una guida più salda. Altrimenti l’Italia creerà problemi a tutti.

Vuol dire mandare a casa Conte o viceversa tentare di rafforzarlo?

In Europa viene vista con favore ogni operazione che possa favorire un consolidamento politico e il rafforzamento – sulla carta – dell’alleanza M5s-Pd è considerato un fatto positivo. Dopodiché, che questa maggioranza continui a essere guidata da Conte o che i due partner preferiscano un altro assetto, è una cosa che decideranno le circostanze.

Dunque Conte è sacrificabile.

È quasi una legge fisica: più sono deboli i partiti che lo sostengono, più si rafforza il premier in apparenza non politico. Più i partiti si rafforzano, meno determinante diventa il leader non politico.

Che cosa potrebbe guastare l’ordito di questo quadro?

Alla fine ciò che decide è la gravità della crisi economica.

(Federico Ferraù)