C’era attesa sui mercati per il dato relativo alle richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione negli Stati Uniti diffuso ieri. E il fatto che sia stato migliore delle attese ha rafforzato il rimbalzo di Wall Street dopo i cali dei giorni scorsi. Come ci spiega Domenico Lombardi, Professore di Politiche economiche e Governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, «la scorsa settimana le nuove richieste per sussidi di disoccupazione sono risultate 233.000, al di sotto delle aspettative e in diminuzione rispetto al valore della settimana precedente. Questo dato conferma che non è il mercato del lavoro il principale elemento che ha sospinto le turbolenze osservate nei giorni scorsi e che non si sono ancora del tutto stabilizzate. Il quadro nel quale si sono generate è, infatti, più articolato».



Cosa ci può dire in merito?

La turbolenza si è originata in Giappone in seguito all’aumento dei tassi di intervento della Banca centrale di quel Paese. Questo ha generato un apprezzamento dello yen inducendo alcuni operatori a chiudere le posizioni speculative che avevano aperto sul mercato nipponico per investire in quello americano. Nei giorni seguenti, poi, i dati sulla disoccupazione hanno generato l’impressione che l’economia degli Stati Uniti fosse prossima alla recessione in seguito all’aumento del tasso di disoccupazione al 4,3% a giugno, ovvero due decimi di punto in più rispetto al mese precedente o 0,9% in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.



Il dato sulla disoccupazione lascia intravvedere la possibilità di una recessione negli Stati Uniti?

Il tasso di disoccupazione, se superiore allo 0,5% dell’anno precedente, è tipicamente correlato con condizioni recessive dell’economia e, pertanto, ha indotto alcuni investitori a pensare al peggio. Si tratta, tuttavia, di una regolarità statistica (la cosiddetta Sahm rule), non di una relazione causale. Peraltro, l’aumento mese su mese dal 4,1% al 4,3% del tasso di disoccupazione è spiegato dall’aumento del tasso di partecipazione, non dalla distruzione di posti di lavoro: in sostanza, più persone decidono di entrare nella forza lavoro e cercare occupazione, sospinti da fiducia e ottimismo nelle prospettive dell’economia – il contrario di quanto accade in una recessione. Del resto, un esame attento dei dati mostra che negli ultimi mesi i salari, i redditi e la produzione industriale sono tutti aumentati, anche in questo caso esattamente l’opposto di quanto si osserva in una recessione. Infine, solo qualche giorno prima a fine luglio, il Fmi aveva aggiornato la sua batteria previsionale, indicando per l’anno in corso una crescita del 2,6%, lievemente in aumento rispetto all’anno precedente e ben al di sopra del tasso di espansione potenziale dell’economia americana.



È normale il “silenzio” di Fed e Bce di fronte a quello che sta accadendo sui mercati? Quanto potrà durare?

Sullo sfondo di queste ragioni – tutte tecniche – c’è una partita più grande che i mercati stanno “combattendo” contro la Fed, nel senso che stanno facendo pressione o cercando di “imporre” alle autorità monetarie degli Stati Uniti una maggiore velocità nell’abbassamento dei tassi. Il fatto che a settembre i tassi di intervento verranno diminuiti era stato già indicato dal Presidente Powell nell’ultima conferenza stampa, ma i mercati stanno premendo per una riduzione consistente di almeno mezzo punto e con ulteriori, significative riduzioni a seguire. In sostanza, non è in gioco la direzione della politica monetaria, quanto il passo che essa dovrà seguire. In tal senso, le due banche centrali più importanti – la Fed e la Bce – esitano a comunicare temendo che possano generare una reazione di mercato avversa e indurre gli operatori ad alzare la posta. In ogni caso, a Jackson Hole, Powell e Lagarde forniranno indicazioni utili a ridosso delle rispettive riunioni dei comitati direttivi previste a settembre nel contesto – questa la loro attesa – di condizioni di mercato più stabili. Ma il taglio di mezzo punto nei tassi americani appare, ora, più probabile.

Quali conseguenze potrebbero esserci per l’Italia?

L’Italia probabilmente beneficerà di una postura monetaria della Bce più accomodante nei prossimi mesi, poiché un ciclo di riduzione dei tassi più aggressivo da parte della Fed influenzerà nella stessa direzione le valutazioni dell’Eurotower. Allo stesso tempo, però, stante la situazione di incertezza sui mercati, è fondamentale tenere la barra dritta sulla politica fiscale, evitando allentamenti che potrebbero indurre i mercati a reazioni repentine e avverse. Sebbene l’Italia non sia per nulla interessata dalle recenti turbolenze, queste nondimeno segnalano un aumento del grado di avversione al rischio che deve indurre il Governo alla massima prudenza.

(Lorenzo Torrisi)

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