Per tanti il judo è lo sport più bello. Per la disciplina, per l’onestà che vedi sul tatami, per lo sforzo degli atleti che non si sognano di fare i divi; e per tanto altro. Per questo sono rimasto colpito quando un esperto mi ha fatto notare una cosa insolita alla fine degli incontri trasmessi in questi giorni: gli atleti non si danno più la mano come saluto, ma solo un cenno col capo. Alla fine degli incontri era tradizione salutarsi con inchino e stretta di mano cavalleresca; ora non più. In epoca Covid è così: gli atleti possono afferrarsi, strangolarsi, toccarsi, trascinarsi in gara, ma alla fine niente stretta di mano. Protocollo anti-Covid. Strano: ho voluto verificare e nelle norme del Coni e nelle norme internazionali (pure per altri sport di contatto fisico) ora è proprio scritto così: “Le strette di mano sono vietate – usare i gomiti per salutare oppure salutarsi con un inchino”. Ma come: in gara si toccano tutti e con grande impatto e alla fine non si possono più sfiorare le mani? Strano paradosso.
Ma, mi sono domandato, chissà se vale anche per altri sport dove gli atleti si toccano in gara; certo per il tennis può avere un senso non darsi la mano alla fine: non si sfiorano durante l’incontro. Ma per il calcio? Ed ecco la sorpresa: dalle regole anti Covid della Figc leggiamo: “L’ingresso in campo dovrà essere previsto in momenti separati per evitare contemporanea occupazione del tunnel o dei corridoi”. Cioè distanziamento per l’ingresso in campo e poi a giocare (per fortuna!) come sempre. Non vi pare che ci sia qualcosa di strano? Rieccoci piombati nella società dei protocolli, in cui vale il rispetto pedissequo della norma al di là di ogni evidenza. Il sacro protocollo dice “niente strette di mano” e allora anche chi andrà a passare all’avversario sudore benedetto – perché sudore meritato e sportivo – anche lui o lei grondante del proprio e altrui sudore obbedirà: niente strette di mano. Anche la pallacanestro non è da meno: la Fip invita nello svolgimento delle gare alla “Rimodulazione delle panchine, prevedendo la distribuzione alternata dei componenti”, ma poi in campo si gioca davvero, con contatti, falli, stoppate ecc.
Eh sì, c’è qualcosa che non torna. E ulteriore paradosso è che il tasso di mortalità del Covid è simile in tutti i Paesi del mondo, sia in quelli delle mille regole che in quelli delle poche norme, in quelli in cui è possibile essere rigorosi sulle norme di distanziamento, mascherine ed igiene e in quelli che per carenze economiche non se lo possono permettere. Fermi qui: le norme sono giuste, i distanziamenti sono corretti e le mascherine e tamponi sono una manna dal cielo, così come i vaccini. Ma il paradosso resta, e viene da pensare che è al momento dell’applicazione che si inceppa il meccanismo: troppe regole, troppi cambiamenti (e troppo poca fiducia in chi li emana).
Già: quando ci si lega solo alle norme e non anche al buon senso, alla paura invece che alla motivazione, l’effetto è scadente, mediocre, marcio. Perché come spiega la sociologia, l’eccesso di regole non solo le rende inconoscibili, ma genera anche l’idea che se per un comportamento che ci sembra ovvio (es. mettere una mascherina) debbano essere stilate leggi, decreti, protocolli che oltretutto vanno e vengono, cambiano di settimana in settimana, allora tanta chiarezza chi legifera non ce l’ha; e la misura imposta improvvisamente non è più così ovvia come sembrava.
È un fenomeno naturale ben noto: superata una certa soglia, un certo livello, ogni fenomeno cambia di natura: il denaro per esempio se supera un certo livello da oggetto di scambio diventa arma di potere. Così leggi e protocolli se superano una soglia di tollerabilità, da strumenti utili diventano una dimostrazione di “far qualcosa” puramente formale. Su questo ha scritto belle pagine il sociologo americano Berry Schwartz, e Tacito nei suoi Annales (“Corruptissima republica, multiplae leges”). Ed è un dilemma della filosofia e della morale: quando le norme sono poco comprensibili, prevale la legge (indicazione motivata e motivante) o le norme (le regole spicce talora incomprensibili)?
Dicevamo che è un paradosso che anche laddove si moltiplicano strumenti e leggi, il Covid sia rigoglioso. In una sorta di “effetto Suv” si crede che più si aumentano le regole più si sta al sicuro. Sbagliato: è facendo meno protocolli e leggine ma responsabilizzando e motivando le persone che si ottiene cambiamento, miglioramento, salute, progresso, libertà. I dati ce lo dimostrano (lo spiegammo anni fa sottolineando come avviene questo fenomeno in medicina), o perlomeno ci insegnano che il moltiplicarsi di mansionari, regole, decreti e leggine oltre un certo limite non sortisce nessun effetto. È dal sentimento umano che nasce il desiderio di seguire l’ordine razionale della legge. Bel concetto, ma impossibile in un mondo di soggetti isolati e di comportamenti inautentici, cioè fatti il più delle volte non per avvicinarci agli altri, ma per sentirsi deresponsabilizzati.
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