Ieri lo spread tra Btp e Bund ha varcato la soglia dei 160 punti base, facendo segnare nuovi massimi da quando Mario Draghi è a palazzo Chigi. Non sembra quindi essere sufficiente la conferma del tandem formato dall’ex Presidente della Bce e dal rieletto presidente della Repubblica alla guida del Paese per tranquillizzare i mercati. Soprattutto perché lo spread italiano continua a salire più di quello di altri Paesi del Sud Europa come la Spagna. «Abbiamo imparato in questi anni che lo spread – è il commento di Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena – dipende da una pluralità di fattori, non sempre facilmente interpretabili, e non è quel termometro di affidabilità politica che spesso in Italia tendiamo ad attribuirgli.
Certo, gli investitori tengono gli occhi puntati sugli equilibri politici europei e su come i diversi Paesi intendono muoversi. Sul fronte interno la riconferma di Mattarella e quindi di Draghi rappresenta un segnale di continuità, ma forse non è un segnale così chiaro di forza del Governo: ci aspetta un anno di campagna elettorale, con le forze che sostengono l’esecutivo intente a farsi concorrenza. Non credo che il Governo Draghi sarà in grado di fare molto. Ma probabilmente è ancora più importante il fronte esterno».
A che cosa si riferisce?
Alla riforma del Patto di stabilità e, soprattutto, alle decisioni della Bce rispetto all’aumento delle spinte inflazionistiche. Non dimentichiamo che, rispetto alla Spagna come alla Francia, il nostro debito in rapporto al Pil è maggiore di circa 30 punti percentuali.
Vedendo anche il trend inflazionistico dell’Eurozona, è davvero possibile che la Bce riesca a non alzare i tassi quest’anno?
La prima cosa da dire è che, stando alle previsioni della stessa Bce, stiamo parlando di livelli di inflazione tutt’altro che elevati se visti su base annua: i numeri che ho sottomano (proiezioni elaborate a dicembre) sono il 2,6% nel 2021 e il 3,2% nel 2022, con valori in discesa nel corso dell’anno. Valori che sono ben più bassi se togliamo dal paniere i beni energetici. Considerando quanto a lungo siamo rimasti al di sotto del valore di riferimento del 2%, un temporaneo superamento di questo valore sarebbe del tutto tollerabile. Quindi, la domanda va portata sul piano politico: alcuni Paesi, quelli del blocco tedesco, spingono da tempo per un aumento dei tassi e stanno trovando nell’aumento dell’inflazione, che a novembre ha toccato un massimo del 4,9%, l’occasione per spingere in questa direzione. Tutto dipende dunque dagli equilibri nella Bce. Per noi la situazione è naturalmente cruciale, perché l’aumento dei tassi inciderebbe in modo pesante sulle nostre finanze pubbliche.
Quanto l’Italia è esposta in questa fase post-pandemica, dopo un rialzo del Pil così elevato come quello del 2021, alle decisioni della Bce?
Un rialzo elevato dopo una perdita elevata. Nel 2021 siamo ben lontani dall’aver ripreso la perdita del 2020; peggio di noi in quell’anno hanno fatto solo Spagna e Grecia. L’Italia è esposta innanzitutto perché l’aumento dei tassi si traduce in una maggiore spesa e quindi a sua volta rende più difficile il rispetto degli obiettivi di bilancio, ma soprattutto perché i mercati potrebbero interpretare il cambio di segno della politica monetaria come un segnale che la Bce non è determinata a fare di tutto, whatever it takes, per scongiurare una nuova crisi debitoria.
Cosa pensa delle dichiarazioni del ministro tedesco delle Finanze Christian Lindner sulle possibili modifiche del Patto di stabilità?
È una chiusura su tutta la linea e riflette la posizione di sempre della Germania e dei Paesi cosiddetti “frugali”: niente ammorbidimento delle regole fiscali, priorità alla riduzione del debito da parte dei singoli Stati, interpretazione del Next Generation Eu come una risposta di carattere eccezionale e non ripetibile. Addirittura si riparla di introdurre limitazioni all’acquisto dei titoli di stato da parte delle banche. Il fatto che appartenga al partito liberale, cioè un partito su questi temi ancora più oltranzista della Cdu, indica che non sarà affatto facile migliorare il Patto di stabilità. Ma lo sapevamo, no?
C’è di fatto già un “freno” tedesco alla proposta Macron-Draghi?
Così parrebbe anche da quelle dichiarazioni. La Germania ha sempre respinto ogni ipotesi di mutualizzazione del debito e non fa eccezione nemmeno in questo caso.
Cosa pensa invece in generale della visione di politica fiscale europea delineata da Lindner?
Nemmeno questa stupisce, considerando che viene da un esponente del partito liberale. La spesa pubblica da orientare al sostegno agli investimenti delle imprese e a contenere il costo dell’energia per l’industria, mentre devono valere vincoli stringenti sulla spesa sociale e quella a carattere redistributivo. Questa la filosofia di fondo dichiarata, che il Governo tedesco vorrà proporre come modello ai partner europei. Il bello è che nella stessa intervista si definisce “non ideologico”. Mi piacerebbe sapere che ne pensano i suoi partner socialdemocratici.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.